24/08/2018
Caso Diciotti: l'Unione scrive al Presidente della Repubblica.

L'Unione chiede al Presidente della Repubblica un autorevole intervento perché siano ripristinate al più presto le regole della ragione, a tutela dei diritti inviolabili e di quegli stessi principi fondanti della nostra convivenza civile. In allegato la lettera.

Illustre Signor Presidente,

ci rivolgiamo a Lei nella Sua indispensabile funzione di garante degli equilibri costituzionali e di controllore della conformità delle leggi ai principi costituzionali.

La vicenda della nave Diciotti, della Guardia Costiera della Marina Militare italiana, è ormai tristemente nota e, nel trascorrere dei giorni, appare sempre più segnata da profili drammatici e da atteggiamenti politici che non sembrano certamente assecondare facili soluzioni. Abbiamo pertanto apprezzato il Suo intervento che ha in precedenza propiziato lo sbarco a Trapani di 67 migranti, soccorsi dallo stesso pattugliatore Diciotti. Ed abbiamo già avuto modo di osservare che la situazione che si è venuta a creare pone in discussione i fondamentali principi di solidarietà e di rispetto della dignità di ogni essere umano, cui si ispira la nostra Costituzione, chiamando in causa la coscienza del nostro intero Paese. Sebbene si tratti di un giudizio negativo che coinvolge evidentemente l’intera Europa, quanto sta ora accadendo rischia di trascendere i limiti stessi dell’insindacabile governo della politica, collocandosi nell’ambito della violazione di quella legge morale universale, per la quale nessun essere umano può essere usato come un mezzo. L’Italia, già nel 1985, ha ratificato la Convenzione Internazionale contro la cattura degli ostaggi, aperta alla firma a New York il 18 dicembre 1979, il cui articolo 3 è stato trasfuso, nel 2017,  nell’art. 289-ter del codice penale, che così recita: “Chiunque, fuori dei casi indicati negli articoli 289-bis e 630, sequestra una persona o la tiene in suo potere minacciando di ucciderla, di ferirla o di continuare a tenerla sequestrata al fine di costringere un terzo, sia questi uno Stato, una organizzazione internazionale tra più governi, una persona fisica o giuridica o una collettività di persone fisiche, a compiere un qualsiasi atto o ad astenersene, subordinando la liberazione della persona sequestrata a tale azione od omissione, è punito con la reclusione da venticinque a trenta anni. Si applicano i commi secondo, terzo, quarto e quinto dell'articolo 289-bis. Se il fatto è di lieve entità si applicano le pene previste dall'articolo 605 aumentate dalla metà a due terzi”.

Non è certo nel nostro costume chiedere o sollecitare punizioni, ma ci sembra doveroso sottolineare come, sebbene spesso le leggi penali non siano scritte con la necessaria chiarezza, il testo di questa norma si sottrae certamente ad ambigue interpretazioni, mostrando in maniera limpida ed inequivoca quale sia il limite invalicabile del rispetto della dignità umana.

Piacerebbe quindi, al di là dell’interpretazione ed applicazione di tale articolo, che evidentemente competono solo ed esclusivamente alla magistratura, leggere un Suo autorevole intervento perché siano ripristinate al più presto le regole della ragione, a tutela di quei diritti inviolabili e di quegli stessi principi fondanti della nostra convivenza civile dei quali Lei è custode.

Con ossequio.

Roma, 24 agosto 2018

 

Il Presidente dell'Unione delle Camere Penali Italiane

Beniamino Migliucci

 

Il Segretario dell'Unione delle Camere Penali Italiane

Francesco Petrelli

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