04/04/2014
Difendere investigando

Dal convegno di Bergamo giunge il suggerimento ad esercitare in modo nuovo la professione ma anche l'invocazione di un diverso modello processuale senza il quale l'investigazione difensiva resterà inesorabilmente al palo.

Difendere investigando: ritardi, opportunità, prospettive
Il convegno di fine marzo

Sarà scontato affermare che Bergamo è bellissima e che il suo Teatro Sociale è stato all’altezza di un’ospitalità degna di un convegno importante, entusiasmante. Ma è la verità, la stessa che mi induce a scriverVi subito perché ho ancora testa e cuore su di giri. Devo, a nome della nostra Camera Penale, i complimenti pieni di gratitudine all’Osservatorio per le investigazioni difensive (per tutti ad Andrea Lazzoni), alla nostra Unione (alla Giunta e a Valerio Spigarelli), alla Sezione di Bergamo (un monumento a Monica Dinardo, senza dimenticare Emilio Gueli e gli altri), ai Relatori prestigiosissimi ed efficaci (tra i quali si è destreggiata in modo encomiabile la nostra Claudia Calubini).
Vedete, quando si vivono giornate come queste, che per il vero si susseguono nel corso dell’anno, si torna a respirare: l’opprimente quotidiano delle confuse aule sfuma sullo sfondo e ci vede tutti scolari-docenti nell’esercizio delle analisi e delle proposte. Si ragiona insieme, si raccolgono gli spunti, si protesta e si sorride, si disquisisce e si propone: c’è un’anima, che ci accomuna. Una sentenza, un’interpretazione, una disamina casistica, tutto finisce per essere cornice di un quadro appena abbozzato del quale confermiamo di voler essere autori.
Ecco, allora, che la riflessione di Ettore Randazzo su “avvocati per ora, avvocati per caso, avvocati purtroppo” non si rassegna all’irrisolto ma apre gli occhi sugli “avvocati avventurosi, creativi, appassionati”. E gli fa eco Valerio Spigarelli, dalla dialettica brillante quanto la preparazione, la visione e l’intuizione, per ribadire perentorio a chi non sa o non ricorda che cosa significa difendere e quale modello processuale lo pretende.
Il diritto di difendersi provando – e prima ancora conoscendo – è l’aspetto peculiare forse il cuore della questione: non si realizzerà mai un processo giusto ed equo limitando la difesa ed il suo esercizio pieno e paritario. Non si centrerà mai l’obiettivo di quella “verità laica” che sta agli antipodi della “verità morale” (rectius: moralistica) sbandierata dal coro dei farisei.
E’ certo che le controspinte giurisprudenziali e riformistiche sono in atto, esattamente come lo sono state inesorabilmente nel più recente passato.
E’ possibile che la nostra possa divenire una voce isolata nel deserto. Almeno avremo acquisito una più matura consapevolezza di questa deriva e meglio potremo comprendere perché così si sta attentando, passo a passo, allo stesso assetto democratico.
In una situazione desolante, non più semplicemente imbarazzante, non abbassiamo allora la guardia, continuiamo convinti sulla nostra linea senza nulla concedere al convenzionalismo di maniera. E’ per noi stessi, ma prima ancora per chi difendiamo (il popolo inconsapevole!).
La legalità del processo è il modo per dimostrare che ancora c’è il principio di legalità: non saremo certo noi a metterlo in discussione. Lo ricordiamo in particolare alla Magistratura, ripetendo con molto entusiasmo: “lunga vita all’Unione delle Camere Penali Italiane”.

Il Presidente della Camera Penale della Lombardia Orientale
Avv. Sergio Genovesi

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