09/01/2025
CEDU, 41 bis, II comma, OP. L'intervento dell'Unione

In allegato le osservazioni fatte pervenire alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dall’Unione delle Camere Penali Italiane nei ricorsi Trovato e altri 3 c/ Italia (case n. 59946/17).

 

La questione della compatibilità con l’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo dell’art. 41 bis, II comma OP, torna all’attenzione della CEDU, in specie alla Prima Sezione, in particolare riguardo alla automatica applicazione della proroga del trattamento speciale senza una congrua motivazione in grado di giustificarne la reiterazione, comportando, così, l’indebita afflizione ai detenuti di un trattamento inumano e degradante.

I quattro ricorrenti sono tutti detenuti da svariati anni al 41 bis OP, con provvedimenti di proroga di volta in volta adottati sulla base di una motivazione fondata, come sempre accade, su mere formule di stile e senza dar conto, in maniera giuridicamente apprezzabile, degli elementi che rendono davvero attuale la proroga del regime speciale.

Non appena è stata pubblicato il case “Trovato e altri 3 c/Italia”, l’Unione delle Camere Penali ha avanzato, con il contributo dell’Osservatorio Carcere, una formale richiesta di intervento ai sensi dell’art. 44 del regolamento CEDU, così come di recente modificato, depositando un articolato Amicus curiae a firma del suo Presidente.

L’Unione ha evidenziato come la reiterata applicazione della sospensione delle regole ordinarie del trattamento per i detenuti sottoposti al 41 bis, in assenza di concreta rivalutazione della pericolosità soggettiva che tenga conto della individualità del ristretto e del suo comportamento nel tempo, rappresenta una violazione dell’art. 3 CEDU.

Il 41 bis, misura emergenziale e temporanea, ha subito la definitiva stabilizzazione nell’ordinamento penitenziario con la modifica normativa del 2002, vedendo poi l’estensione della durata, da 1 a 4 anni con proroghe di due, nel 2009.

Ed è proprio nel 2009 che la misura speciale del c.d. “carcere duro” subisce una profonda trasformazione attraverso la modifica della competenza territoriale dal magistrato di prossimità, quello del luogo di detenzione del recluso, all’unico ed esclusivo giudice competente, il Tribunale di Sorveglianza di Roma, con l’intento, peraltro riuscito, di uniformare la risposta giurisprudenziale ai ricorsi avverso i decreti di applicazione e di proroga, nonché di stabilire una vera e propria probatio diabolica, ponendo a carico del ricorrente l’onere di provare la cessazione delle esigenze di sicurezza pubblica correlate alla prima applicazione.

La palesata volontà legislativa di irregimentare la giurisprudenza in materia di 41 bis ha avuto l’effetto perverso di privare il detenuto, gravato dalla misura, di ottenere una valutazione effettiva e consapevole, da parte del giudice, del proprio vissuto e, così, una risposta davvero adeguata al percorso personologico del singolo recluso.

Le criticità segnalate, rese ancor più evidenti dalla normativa di stabilizzazione del regime di cui all’art. 41 bis, più volte sono state oggetto di pronunce da parte della Corte costituzionale e di analisi e studio in occasione degli Stati Generali dell’esecuzione penale, con alcune proposte significative del Tavolo n. 2 di esperti, presieduto proprio da un magistrato di sorveglianza, tra le quali, appunto, il ripristino della competenza dei Tribunali di Sorveglianza che hanno giurisdizione sull’istituto detentivo e la definizione di un tempo di durata massima del regime.

Il legislatore, invece, ha condotto un’opera di restringimento anche simbolica dapprima attraverso la legge 199/2022 di riforma dell’art. 4 bis OP, imposta dalle decisioni della CEDU (Viola c/Italia) e della Corte costituzionale (n. 253/2019, 97/2021 e 227/2022) escludendo espressamente i ristretti in 41 bis O.P. dall’accesso ai benefici premiali e alle misure alternative al carcere e, successivamente, pervenendo all’esclusione dei detenuti al 41 bis dai percorsi di giustizia riparativa (legge 112/2024).

Il 41 bis, insomma, si caratterizza per il suo stridente contrasto con le Regole penitenziarie europee del 2006 e con l’art. 3 CEDU, che vieta trattamenti detentivi inumani e degradanti, sostanziandosi in un regime che impedisce ogni possibilità di recupero sociale del condannato, in una condizione esclusivamente punitiva che nega a monte e definitivamente per i condannati all’ergastolo anche il diritto alla speranza.

La prima sezione della CEDU dovrà, quindi, pronunziarsi sulla sussistenza della violazione o meno dell’art. 3 CEDU nella sistematica e reiterata applicazione di proroga della detenzione speciale prevista dall’art. 41 bis O.P. in ciò supportata non solo dalle interlocuzioni delle parti con il Governo, ma anche del contributo dell’Amicus Curiae dell’Unione delle Camere Penali Italiane e di quello del Garante Nazionale delle persone private della libertà e dei Docenti dell’Università di Milano, Davide Galliani e Angela Della Bella.

Roma, lì 9 gennaio 2025

La Giunta
L’Osservatorio carcere

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