26/02/2024
Ormai la frase 'giustizia è fatta' si dice soltanto quando il processo si conclude con una condanna.

Pubblichiamo un documento dell'Osservatorio Informazione giudiziaria, media e processo penale.
 

Il posto ormai centrale occupato dalla vittima si sta espandendo sino a mettere in definitiva crisi i principi liberali che informano il nostro processo penale.

L’assoluzione di un imputato accusato di reati contro la persona, per l’opinione pubblica, non è più un risultato del processo e dello sforzo dello Stato di ricostruire la realtà storica rappresentando, per contro, il fallimento della giustizia.

La spinta odierna alla solidarizzazione con la vittima risulta essere indiscutibilmente l’ennesima proiezione del populismo, del diritto penale simbolico e di quello che più volte abbiamo definito un vero e proprio circolo vizioso. 

La spettacolarizzazione della cronaca giudiziaria distorce la percezione sociale del crimine, diffondendo il sentimento della paura e il bisogno di sicurezza da parte della collettività a cui lo Stato deve rispondere con massima prontezza, pur di non perder consenso.

Di qui nasce il panpenalismo d’urgenza, la fabbrica dei reati e, nel quartiere accanto, la fabbrica delle vittime.

Proprio a questo proposito, sollecita e suggerisce il nostro intervento un recente articolo di cronaca giudiziaria del “Messaggero”, che si occupa di commentare l’esito del processo d’appello di un famoso, efferato caso di femminicidio, il caso Maltesi.

Nel secondo grado di giudizio è stato accolto l’appello del Pubblico Ministero, volto ad ottenere il riconoscimento di aggravanti escluse in prima istanza e per l’effetto l’imputato è stato condannato all’ergastolo.

Ebbene, oltre la notizia, la testata riproduce un’immagine che ritrae la zia della vittima che, alla pronuncia del verdetto, abbraccia l’avvocato di parte civile.

La fotografia viene così intitolata:

“Ecco l’abbraccio tra la zia di Carol Maltesi e LA GIUDICE dopo che la Corte d’Assise d’appello di Milano ha condannato all’ergastolo l’ex fidanzato della ragazza uccisa, Davide Fontana”, confondendo chiaramente, nel racconto, figure e soprattutto ruoli di questo delicato processo penale.

Così Il messaggio distorto che passa agli occhi dei lettori attraverso questo lapsus freudiano del cronista è proprio quello per cui la condanna, tanto più se esemplare e severa, è l’unica cartina tornasole della giustizia.

Se questo è il “trend de vie”, non basta allora battersi, come incessantemente facciamo, a livello politico giudiziario, affinchè la cultura della giurisdizione non sia considerata riserva esclusiva della magistratura, per ottenere un riconoscimento sempre più marcato dei reciproci ruoli all’interno del processo, per la separazione delle carriere, per consacrare la presunzione di innocenza.

Per evitare che le idee di giustizia della collettività coincidano con quelle dell’ex ministro Bonafede, occorre lottare affinché i primi cultori della giurisdizione e del giusto processo siano proprio coloro che si occupano di informazione e di cronaca giudiziaria.

Roma, 26 febbraio 2024

L’Osservatorio Informazione Giudiziaria, media e processo penale

 

            

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