12/08/2022
Elezioni politiche e riforme della giustizia: l'Unione scrive ai leader dei partiti.
Pubblichiamo la lettera inviata ai leader dei partiti in vista delle prossime elezioni politiche. Le riforme della giustizia siano centrali nei programmi.

Illustri Onorevoli,

la campagna elettorale inaugurata all’indomani della crisi di Governo e del conseguente scioglimento delle Camere si è da subito appalesata tanto imprevista quanto di inconsueta brevità.

Ciascuno di Voi – in nome delle forze politiche che rappresentate – è chiamato ad assumere impegni programmatici con i cittadini elettori. Il tema della riforma della Giustizia – ed in particolare della Giustizia penale – si candida ancora una volta come questione centrale sulla quale la politica è chiamata a misurare ed a confrontare idee, visioni di fondo, scelte di priorità valoriali e programmatiche.

Il Governo uscente ha dovuto affrontare, per le ragioni a tutti note, un percorso di riforme minato alla radice dalla eccezionale composizione della sua maggioranza politica, che proprio sui temi della Giustizia penale segnava le distanze più inconciliabili tra le forze politiche che la componevano. I risultati ottenuti dallo sforzo di composizione degli opposti messo in campo dalla Ministra Prof.ssa Cartabia sono stati apprezzabili nelle quasi impraticabili condizioni politiche ora ricordate, restando tuttavia assai lontani dalle esigenze improcrastinabili di una riforma profonda e radicale del processo penale e dell’Ordinamento giudiziario, quali il Paese a nostro avviso reclama.

L’Unione delle Camere Penali Italiane, associazione a-partitica e rigorosamente trasversale, ha svolto in questa controversa e difficilissima legislatura – coerentemente con la sua storia quasi trentennale – un ruolo costante di stimolo, di confronto e di proposta che la Politica ha sempre più esplicitamente riconosciuto ed apprezzato, pur nella legittima diversità delle posizioni e delle ispirazioni ideali.

Forti di questo bagaglio di credibilità, coerenza ed autorevolezza che tutti avete voluto riconoscerci in questi anni, ci permettiamo di proporre alla Vostra attenzione quelli che a nostro avviso sono i punti irrinunciabili di una profonda e radicale riforma della giustizia penale e dell’Ordinamento Giudiziario, che il Paese non può più oltre attendere.

Si tratta di riforme indispensabili per l’affermazione di una idea liberale e conforme a Costituzione della Giustizia penale, che auspichiamo possano entrare a pieno titolo, in tutto o anche solo in parte, nei concreti impegni programmatici che ciascuna formazione politica da Voi rappresentata sta per assumere con il corpo elettorale.

L’elenco sarebbe in realtà assai nutrito, ma oggi siamo mossi dalla intenzione di circoscrivere questa indicazione alle riforme davvero cruciali ed irrinunciabili, in grado di consegnare finalmente al nostro Paese una Giustizia penale giusta, efficiente ed autenticamente coerente con quei principi generali scolpiti in Costituzione, ma ancora lontani dall’essere realizzati.

Si tratta a nostro avviso dei seguenti cinque punti programmatici:

1.SEPARAZIONE DELLE CARRIERE TRA MAGISTRATURA INQUIRENTE E MAGISTRATURA GIUDICANTE, PER DARE FINALMENTE ESECUZIONE AL COMANDO COSTITUZIONALE DELLA TERZIETÀ DEL GIUDICE

2.NO AI MAGISTRATI FUORI RUOLO DISTACCATI PRESSO L’ESECUTIVO, ED IN PARTICOLARE PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, IN NOME DEL RIPRISTINO DEL FONDAMENTALE PRINCIPIO DEMOCRATICO DELLA SEPARAZIONE TRA POTERI DELLO STATO

3.RADICALI INTERVENTI DI RIFORMA CONTRO LA DURATA IRRAGIONEVOLE DEI PROCESSI PENALI, ED IN PARTICOLARE: DRASTICO POTENZIAMENTO DELLE PIANTE ORGANICHE DEI MAGISTRATI E DEL PERSONALE AMMINISTRATIVO NEGLI UFFICI GIUDIZIARI; FORTE INCENTIVAZIONE DEI RITI ALTERNATIVI AL DIBATTIMENTO; RECUPERO DELL’ISTITUTO DELLA PRESCRIZIONE DEI REATI (E NON DEL PROCESSO) QUALE INDISPENSABILE RIMEDIO ALLA INCIVILE GOGNA DEL “FINE PROCESSO MAI”

4.REINTRODUZIONE DEL DIVIETO DI APPELLO DEL PUBBLICO MINISTERO CONTRO LE SENTENZE DI ASSOLUZIONE, INCOMPATIBILE CON IL FONDAMENTALE PRINCIPIO PER IL QUALE LA SENTENZA DI CONDANNA È LEGITTIMA SOLO SE “AL DI LÀ DI OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO”

5.RILANCIO DELLA RIFORMA DELL’ORDINAMENTO PENITENZIARIO QUALE DISEGNATO DAL PREZIOSO LAVORO DEGLI STATI GENERALI DELL’ORDINAMENTO PENITENZIARIO DEL 2017, CONDIVISO DA MAGISTRATURA, AVVOCATURA, PERSONALE DELLA AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA E OPERATORI CARCERARI

Di seguito i profili sintetici ed essenziali di questi cinque punti programmatici.

1.SEPARAZIONE DELLE CARRIERE TRA MAGISTRATURA INQUIRENTE E MAGISTRATURA GIUDICANTE, PER DARE FINALMENTE ESECUZIONE AL COMANDO COSTITUZIONALE DELLA TERZIETÀ DEL GIUDICE

È ormai largamente avvertita l’anomalia dell’ordinamento giudiziario dell’Italia, rispetto a quello degli Stati esteri di tradizione liberale, per la quale nel processo penale il giudice ed il pubblico ministero appartengono alla stessa carriera fin dal momento del loro ingresso in magistratura, con evidenti ed insuperabili ricadute su quella che dovrebbe essere la effettiva parità tra accusa e difesa, in aperto contrasto con l’art. 111 della Costituzione, che richiede un giudice terzo ed imparziale.

La terzietà del giudice rispetto alle parti processuali e l’imparzialità della sua decisione sono o comunque dovrebbero essere gli obiettivi primari della legge sull’ordinamento giudiziario, raggiungibili solo separando ab origine due funzioni concettualmente inconciliabili: l’accusa (come la difesa) e il giudizio.

Di qui l’indispensabilità e l’indifferibilità di una modifica legislativa che separi giudici e pubblici ministeri, in modo che i primi siano liberi da condizionamenti di colleganza nel controllo e nella valutazione dell’azione dei secondi, così come lo sono in relazione alle attività dei difensori, i quali non possono certamente disporre di quel rapporto relazionale privilegiato, perché genetico, che vizia il processo.

Con il proposito di assicurare al cittadino un giudice effettivamente super partes, l’Unione delle Camere Penali Italiane ha raccolto le firme a sostegno di una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, la quale, come è noto, sta affrontando il previsto iter parlamentare.

Essa prevede la separazione tra magistratura giudicante e magistratura requirente, alle quali si accede con autonomi concorsi, che danno luogo a due carriere autonome, regolate da due CSM (il Consiglio superiore della magistratura giudicante ed il Consiglio superiore della magistratura requirente).

Di particolare rilievo è la previsione per cui, a differenza della maggior parte degli ordinamenti di altri paesi europei e anglo-sassoni (che prevedono comunque forme di controllo), il Pubblico Ministero, nella proposta di legge dell’UCPI, mantiene lo stesso statuto di magistrato del giudice, rimanendo autonomo ed indipendente rispetto al potere politico.

È per queste ragioni che ben si può affermare che la proposta dell’UCPI, nel garantire effettività alla difesa, rispetta integralmente il ruolo della magistratura tutta, nel senso che assicura un pubblico ministero indipendente dalla politica, ma allo stesso tempo un giudice indipendente dal pubblico ministero.

2.NO AI MAGISTRATI FUORI RUOLO DISTACCATI PRESSO L’ESECUTIVO, ED IN PARTICOLARE PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, IN NOME DEL RIPRISTINO DEL FONDAMENTALE PRINCIPIO DEMOCRATICO DELLA SEPARAZIONE TRA POTERI DELLO STATO

Il collocamento fuori ruolo, presso altre amministrazioni pubbliche, dei magistrati rappresenta, come è noto, una grave anomalia nell’amministrazione della giustizia del nostro Paese. La previsione normativa che consente di sottrarre duecento magistrati alle funzioni per le quali sono stati assunti, formati e retribuiti, appare, in un contesto nel quale la inadeguatezza degli organici viene unanimemente da sempre individuata come una delle cause principali del malfunzionamento del sistema giudiziario, del tutto contradditoria ed irragionevole. Deve essere, inoltre, rilevato che spesso si tratta di compiti che richiedono conoscenze del tutto estranee al bagaglio culturale e scientifico di un magistrato e che quindi, nell’ottica di una migliore efficienza della pubblica amministrazione, dovrebbero essere più opportunamente demandati a soggetti dotati delle necessarie competenze professionali, se del caso, anche attraverso la previsione di specifiche carriere nell’ambito del pubblico impiego.

È opportuno rammentare, peraltro, che l’attività svolta fuori ruolo, nonostante spesso sia del tutto eccentrica rispetto a quella giudiziaria, viene invece equiparata in toto a quest’ultima, per quanto attiene agli avanzamenti di carriera e alla possibilità di concorrere ai posti direttivi, con palese pregiudizio per coloro che, viceversa, diuturnamente svolgono i compiti per i quali sono stati assunti.

Ma soprattutto, il collocamento fuori ruolo dei magistrati si pone in contrasto insanabile con il rigoroso rispetto del principio della separazione dei poteri, vero e proprio cardine dello Stato democratico. Poco meno della metà dei magistrati fuori ruolo vengono, infatti, collocati, spesso con scelte riconducibili a logiche correntizie, presso il Ministero della Giustizia. Ciò comporta che proprio il Ministero al quale fa capo l’iniziativa legislativa e regolamentare in materia giudiziaria sia di fatto controllato o comunque fortemente condizionato dai magistrati e che, quindi, il punto di vista della magistratura sia quello che naturalmente finisce per orientare le scelte dell’esecutivo in materia di attività legislativa e amministrativa, con evidente alterazione delle normali dinamiche istituzionali tra i poteri dello Stato.

L’Unione delle Camere Penali Italiane che per prima ha richiamato l’attenzione sul problema dei magistrati fuori ruolo ritiene, quindi, che sia improcrastinabile un intervento normativo radicale che vieti il collocamento fuori ruolo dei magistrati se non per quei compiti strettamente connessi all’attività giudiziaria, quali, ad esempio, l’attività ispettiva presso gli uffici giudiziari e la presenza negli organi giudiziari europei.

3.RADICALI INTERVENTI DI RIFORMA CONTRO LA DURATA IRRAGIONEVOLE DEI PROCESSI PENALI, ED IN PARTICOLARE: DRASTICO POTENZIAMENTO DELLE PIANTE ORGANICHE DEI MAGISTRATI E DEL PERSONALE AMMINISTRATIVO NEGLI UFFICI GIUDIZIARI; FORTE INCENTIVAZIONE DEI RITI ALTERNATIVI AL DIBATTIMENTO; RECUPERO DELL’ISTITUTO DELLA PRESCRIZIONE DEI REATI (E NON DEL PROCESSO) QUALE INDISPENSABILE RIMEDIO ALLA INCIVILE GOGNA DEL “FINE PROCESSO MAI”

La lentezza dei processi penali in Italia è un danno per tutte le parti processuali, oltre che per l’economia del Paese, ma è inaccettabile ed allo stesso tempo illusorio pretendere di risolvere questo problema comprimendo le garanzie del giusto processo e la effettività dei giudizi di impugnazione.

Occorre innanzitutto reclutare un ben più alto numero di magistrati e di personale amministrativo negli uffici giudiziari. L’attuale organico della magistratura ordinaria (10.771, peraltro con una scopertura ad oggi del 12,72%) ci pone agli ultimi posti della graduatoria europea (22° su 27 Paesi nel rapporto tra giudici ed abitanti: 11,1%, contro una media europea del 14,4%, con la Germania al 24,5%). Quanto al personale amministrativo, nel 1992 era composto da quasi 53mila unità, oggi, siamo a circa 40mila). Occorre inoltre proseguire con decisione sulla strada della informatizzazione della macchina amministrativa. Vi è dunque un obiettivo di maggior spesa nel comparto giustizia, che occorre assumere come assoluta priorità.

In secondo luogo, occorre prendere atto di una semplice quanto incontrovertibile evidenza: nessun sistema processuale di stampo accusatorio, quale è il nostro, può pretendere di celebrare il 90% dei processi penali nella forma dibattimentale. Deve dunque essere fortemente incentivata la prospettiva difensiva di una soluzione negoziale del processo (riti abbreviati, soprattutto nella forma “condizionata” a qualche mirata e motivata integrazione probatoria, e patteggiamenti), ben oltre le assai timide ed inefficaci modifiche apportate dalla riforma Cartabia, assai lontane dalle stesse sollecitazioni della Commissione Lattanzi.

Infine, occorre lasciarsi definitivamente alle spalle l’ubriacatura populista sul tema della prescrizione, e la artificiosa soluzione della improcedibilità in grado di appello che ne è infine scaturita. Ancora una volta, la soluzione suggerita dalla Commissione Lattanzi (prescrizione del reato sospesa per un anno e mezzo in grado di appello ed un anno in Cassazione, con recupero nel calcolo in caso di mancata celebrazione nei termini) si candida come quella più sensata, equilibrata e praticabile. L’istituto della prescrizione ha senso solo in un Paese che non riesca a celebrare i suoi processi in tempi ragionevoli. Se lo Stato non è in grado di raggiungere questo obiettivo, ha il dovere etico di rinunziare ad esercitare la potestà punitiva. È pura barbarie la pretesa che lo Stato possa imprigionare sine die l’imputato al suo processo, se esso non è in grado di celebrarlo in tempi ragionevolmente precostituiti.

4.REINTRODUZIONE DEL DIVIETO DI APPELLO DEL PUBBLICO MINISTERO CONTRO LE SENTENZE DI ASSOLUZIONE, INCOMPATIBILE CON IL FONDAMENTALE PRINCIPIO PER IL QUALE LA SENTENZA DI CONDANNA È LEGITTIMA SOLO SE “AL DI LÀ DI OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO”

L’appello del Pubblico Ministero nel nostro ordinamento è corollario del principio di obbligatorietà dell’azione penale. È questa una concezione certamente autoritaria che la dottrina penalistica ha posto in discussione sin dall’avvento della Costituzione Repubblicana. Con la legge “c.d. Pecorella” del 2006 il Legislatore ne aveva sostanzialmente decretata l’abrogazione, ma una successiva sentenza della Corte Costituzionale ha reso nuovamente operativo l’Istituto. La più recente giurisprudenza della Consulta però ha definitivamente negato copertura costituzionale all’appello del P.M. e del resto, la stessa “Commissione Lattanzi” chiamata ad occuparsi delle ipotesi di riforma del processo penale nell’ambito della c.d. “delega Cartabia”, ne ha proposto l’abolizione. Gli interventi riformatori in fieri purtroppo non hanno inteso recepire tali indicazioni. È necessario ribadire e rafforzare il ruolo dell’appello quale imprescindibile prerogativa a disposizione dell’imputato affinché gli sia garantito il diritto ad ottenere una nuova valutazione, nel merito, della vicenda processuale che ha determinato la sua condanna per scongiurare gli ormai sempre più frequenti casi di errore giudiziario. Le chiare indicazioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e del Patto Internazionale sui diritti civili e politici prevedono e garantiscono il diritto del condannato, non certo del Pubblico Ministero, ad un secondo giudizio. Ancora, il mantenimento dell’appello del P.M. si pone su un piano di insanabile contraddizione con il recepimento nel nostro ordinamento del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.

5.RILANCIO DELLA RIFORMA DELL’ORDINAMENTO PENITENZIARIO QUALE DISEGNATO DAL PREZIOSO LAVORO DEGLI STATI GENERALI DELL’ORDINAMENTO PENITENZIARIO DEL 2017, CONDIVISO DA MAGISTRATURA, AVVOCATURA, PERSONALE DELLA AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA E OPERATORI CARCERARI

Le condizioni di vita nelle carceri italiane sono tra le peggiori d’Europa. Nonostante le procedure di infrazione e le condanne EDU, sovraffollamento e precarietà della situazione igienico sanitaria sono la costante; lo Sato non si è rivelato in grado di garantire gli standard minimi previsti dalle Convenzioni internazionali e comunque di dare risposte strutturali adeguate. È necessario ritrovare la consapevolezza istituzionale per operare secondo Costituzione. I principi costituzionali impongono che sia finalmente abbandonata l’idea carcerocentrica della sanzione penale e le ostatività; debbono invece essere valorizzate le forme alternative alla detenzione, il potenziamento di percorsi di reinserimento, l’ampliamento dei casi di oblazione e il ricorso a condotte riparatorie. Fondamentale è da parte del Legislatore una concreta opera di depenalizzazione. L’intervento riformatore dovrà avere ad oggetto l’intera materia dell’esecuzione penale; in questa prospettiva è necessario recuperare il prezioso lavoro svolto dagli Stati Generali dell’Esecuzione Penale promossi nel 2017, le cui pregnanti risoluzioni non sono state fino ad oggi recepite in specifici provvedimenti legislativi.

Il carcere non può essere la risposta ai fenomeni di marginalità sociale ma l’extrema ratio in assenza di alcuna altra possibilità di esecuzione alternativa della pena e comunque in esso devono essere garantite condizioni per il recupero del condannato. La custodia cautelare in carcere non può che assumere la dimensione di misura residuale, dovendosene limitare il ricorso solo alle ipotesi di gravi reati e per esigenze di cautela che non possono essere affrontate con altre modalità.

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Naturalmente andranno affrontati molti altri temi, tra i quali meriterà grande attenzione quello dei danni collaterali alla libertà economica e alle imprese, che ormai costituiscono il costo sempre più insostenibile del processo penale. Occorrerà, dunque, una profonda e radicale riforma delle misure di prevenzione patrimoniale e della disciplina dei sequestri e delle confische.

I penalisti italiani auspicano che la campagna elettorale possa costituire la decisiva occasione per un chiaro e franco confronto tra le forze politiche in competizione, in modo che gli elettori possano scegliere anche sulla base di chiare indicazioni sulle idee di fondo e sulle strategie programmatiche di riforma della Giustizia.

Siamo ovviamente a disposizione di tutte le forze politiche per fornire idee e concrete soluzioni tecniche su questi cruciali temi di riforma, la cui priorità auspichiamo sia da Voi quanto più largamente condivisa.

La Giunta

Roma, 12 agosto 2022