01/06/2020
A proposito del processo degli “ultimi” (e dei loro difensori)

L'Osservatorio Difesa d'Ufficio "Paola Rebecchi" su alcune recenti affermazioni di un giudice sulla difesa d'ufficio.

 

Abbiamo letto con grande attenzione le in gran parte condivisibili osservazioni sul processo monocratico per direttissima all’epoca del Covid-19, svolte dalla Dott.ssa Lucia Vignale, Giudice del Tribunale di Genova[*].

Abbiamo già conosciuto in passato la sua attenzione per i diritti degli “ultimi”; ci riferiamo, per quanto di nostro diretto interesse, a ciò che aveva scritto qualche tempo fa a proposito della novella in tema di elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio[†]: allora propose un’interpretazione dell’art. 162 co. 4-bis c.p.p. che era sostanzialmente in linea con quanto scrivevamo noi, voci solitarie in un panorama giurisprudenziale che – come scriveva criticamente anche lei – non disapplicava la riforma, ma la “aggirava”.

Proprio per questa sua particolare sensibilità e attenzione ai diritti, soprattutto quando riguardano gli “ultimi”, le riflessioni della Dott.ssa Vignale hanno catturato la nostra attenzione e il nostro interesse, condividendone lo spirito di fondo.

Purtroppo anche noi constatiamo come la sequenza arresto-convalida-direttissima sia il più delle volte affare di un’umanità disperata; un processo in cui la condanna è generalmente scontata ed in cui il diritto di difesa viene per lo più ridotto a trattativa con il Pubblico Ministero per evitare una misura cautelare custodiale e/o ottenere un patteggiamento alla pena più bassa possibile.

Tutti gli attori del processo (Giudici, Pubblici Ministeri, Avvocati) spesso considerano il processo per direttissima la Cenerentola del processo penale: una Cenerentola che, purtroppo, rimane tale, senza (quasi) mai trovare un principe disposto ad invitarla al ballo del “vero” giusto processo.

Com’è vero che, ai tempi del Covid-19, più che una Cenerentola, il processo per direttissima via Teams è apparso un rospo troppo brutto per essere baciato: dalla difficoltà (se non impossibilità) per l’indagato alloglotta di capire quel che accade, alla difficoltà (se non impossibilità) per il Giudice di comprendere le circostanze in cui l’arresto è stato eseguito – magari con qualche forzatura – passando per la difficoltà (se non impossibilità) per il difensore di avere un vero contatto con l’assistito.

Se la direttissima è già ordinariamente un rito “a difesa affievolita”, ai tempi del Covid-19 troppe volte è apparso un rito celebrato senza quelle condizioni minime di garanzia che presuppongono necessariamente un contatto anche visivo e fisico tra accusato, giudice e difensore.

Fin qui tutto giusto.

Ma, tra le riflessioni della Dott.ssa Vignale, c’è una domanda che ci coinvolge direttamente: «perché le Camere Penali non ne parlano mai [del processo per direttissima], perché non invocano anche qui, anche di fronte a imputati che non possono pagare, la sacralità del diritto di difesa».

A questo interrogativo ha già risposto oggi efficacemente e puntualmente Francesco Petrelli su Diritto di difesa, ricordando come le Camere Penali da sempre parlino, scrivano, e riflettano del processo e dei diritti degli ultimi.

Il nostro Osservatorio, dedicato alla Difesa d’ufficio, è stato costituito nel 2013 per provare a “scrivere” la riforma della materia, entrata poi in vigore alla fine di gennaio del 2015, raccogliendo l’eredità politica e culturale che alla fine degli anni ’90 aveva spinto le Camere Penali a ottenere una prima riforma (quella entrata in vigore nel 2001, rivelatasi poi insufficiente e inadeguata).

Da allora ci siamo sempre occupati soprattutto di questo, con un unico obiettivo: cercare di garantire il diritto di difesa anche a chi – per ragioni economiche, culturali, linguistiche o semplicemente per disinteresse – il più delle volte non vuol preoccuparsi delle proprie vicende processuali.

È stata l’Unione delle Camere Penali Italiane, certo con il supporto del Consiglio Nazionale Forense ma anche contro una parte dell’Avvocatura, a pretendere nuovi e più stringenti requisiti per l’ingresso e la permanenza nell’elenco nazionale dei difensori d’ufficio.

Lo abbiamo fatto per garantire a tutti l’effettività del diritto di difesa: abbiamo voluto e preteso che anche l’arrestato invisibile condotto davanti al Giudice della direttissima debba avere un difensore giuridicamente (e culturalmente) preparato.

Anzi: più preparato, perché non basta aver superato l’esame di Stato per essere inserito nell’elenco nazionale dei difensori d’ufficio.

È stata ed è l’Unione delle Camere Penali a svolgere l’attività di formazione di base ed i corsi di aggiornamento professionale dei difensori d’ufficio.

Sappiamo che il percorso è ancora lungo e che molte sono le storture da combattere. Sappiamo che molti, tra chi “fa” l’avvocato d’ufficio, non “è” un vero difensore.

Ma noi, anche contro una parte dell’Avvocatura, abbiamo combattuto e combatteremo questa battaglia, convinti che l’Avvocato, come diceva Oreste Flamminii Minuto, «rappresenta quello che la società concede a chi è accusato, come fosse l’ultimo tramite della sopravvivenza sociale. È il garante della lealtà dello Stato».

È un tema che è sicuramente caro anche alla Dott.ssa Vignale, perché lei scrive che «per questa umanità disperata, l’unica garanzia del giusto processo è il Giudice. Prima di lui non c’è il PM che (forse, ma non è certo) ha frettolosamente guardato gli atti e scritto un capo di imputazione e non è detto neppure che ci sia davvero un difensore (qualche cosa in proposito alle Camere Penali potremmo dirla)».

Purtroppo è vero che ancora troppe volte quel Difensore non c’è: troppi avvocati (non solo d’ufficio, ma per lo più d’ufficio, ed a prescindere da qualsivoglia anzianità anagrafica o professionale) in udienza appaiono quasi “invisibili” proprio come i loro Assistiti.

Ma c’è anche un’altra realtà: se ci sono Giudici attenti ai diritti anche dell’umanità dolente che attraversa quotidianamente le aule delle direttissime, ci sono anche Avvocati (e sono molti!) che hanno a cuore il diritto dei loro Assistiti, anche quando non sanno nulla di loro; che hanno incontrato arrestati e detenuti anche nel pieno del pericolo e della paura del contagio; che (quando i protocolli locali lo hanno consentito) hanno preteso la celebrazione delle udienze in persona anche in questi mesi difficili – consapevoli delle molte (troppe!) difficoltà che la celebrazione dell’udienza via “Teams” riserva a tutti gli attori del processo.

C’è un’Avvocatura che vuole riflettere e agire per riconoscere a tutti il diritto ad un processo giusto, celebrato nel pieno contraddittorio tra le parti, di fronte ad un Giudice terzo (e possibilmente che proviene da una carriera differente da quella del Pubblico Ministero).

Roma, 1° giugno 2020

L'Osservatorio Difesa d'Ufficio "Paola Rebecchi"

 

 


[*] Il processo degli “ultimi” è un giusto processo?, su www.areadg.it (https://www.areadg.it/speciali/emergenza-e-nuove-prospettive/il-processo-penale-giudice-monocratico-e-rito-direttissimo?fbclid=IwAR2AzJfC4zK-gXHS40rKD1u839qISlUGtx6li-QV25D3b84QHNfoRm3hW7U).

[†] Processo in assenza ed elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio. L’art. 162 comma 4-bis cpp e le ragioni di una riforma, su www.questionegiustizia.it (http://www.questionegiustizia.it/articolo/processo-in-assenza-ed-elezione-di-domicilio-press_26-09-2017.php)

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