20/04/2020
Dal Coronavirus all'errore giudiziario: i rischi del processo a distanza

Pubblichiamo un documento dell'Osservatorio sull'errore giudiziario, sull' attuale emergenza anche giudiziaria dovuta al diffondersi del coronavirus

Il virus sta scrivendo una inimmaginabile e drammatica pagina della nostra storia, costringendoci a rivedere le priorità nel nostro quotidiano ma anche nella nostra professione, imponendo la relativizzazione dei bisogni e dei diritti dei cittadini in nome della primaria necessità di tutela della salute e della vita.

Il sistema della Giustizia penale, forse come non era mai successo prima d’ora, ha dovuto rallentare fino ad arrivare quasi ad arrestarsi, mutando in via eccezionale il proprio modello costituzionale dinanzi al bene supremo da tutelare.

Gli operatori hanno visto affievolirsi gradualmente, fino quasi a venir meno, diritti fondamentali, quali la libertà di movimento, fino alla rinuncia o quasi ai principi essenziali del Giusto processo.

Sospensione dei termini di custodia cautelare, sospensione dei termini prescrizionali, processi da remoto, processi su richiesta, camere di consiglio virtuali ed inviti ad astenersi dalla partecipazione all’udienza, sospensione dei colloqui dei detenuti con i congiunti.

Ma oggi il protrarsi dell’emergenza ha comportato il rinnovarsi di quelle limitazioni che già oltremodo incisive rischiano di inasprirsi ulteriormente con la prospettiva di un ulteriore sacrificio che gli avvocati non possono più accettare.

Non possono accettarlo per i propri assistiti, per i cittadini in genere e per l’avvertito dovere di preservare diritti e garanzie lungamente sofferti prima di essere conquistati e già messi a dura prova da un legislatore distratto e populista che li aveva già annacquati con la legislazione del fenomeno del momento.

L’emendamento presentato dal Governo (atti al Senato 1766) con il quale vengono richieste le modifiche, in materia di processo penale, in sede di conversione del decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020, rivela manifestamente la volontà di trasformare in regola quella compressione e quell’abbassamento delle garanzie difensive, oggi forzatamente accettati in ragione della dichiarata emergenza sanitaria.

Non si tratta di modifiche di poco conto atteso che dopo aver  ricompreso anche l’estrazione nell’ambito dei processi cd da trattare, (nonostante la difficoltà degli spostamenti, l’assenza attuale di corridoi di transito tra gli stati e lo stato di pandemia dichiarato a livello mondiale) l’emendamento governativo prevede la possibilità che in ambito penale, le udienze che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private e dai rispettivi difensori, dagli ausiliari del Giudice, da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, da interpreti consulenti o periti (sostanzialmente tutte salvo quelle con testimoni) possano essere celebrate tramite collegamenti da remoto.

Il tutto senza la possibilità per gli avvocati di interloquire sul punto, delegando addirittura individuazione e regolamentazione a provvedimenti amministrativi.

Questo per circa due mesi- al momento- e quindi fino al 30 giugno 2020.

In sostanza si apre - per usare il linguaggio, a cui ci siamo dovuti tristemente abituare, in tempo di epidemia - una c.d. “FASE 2”, nella quale l’eccezione diventa regola per migliaia di processi che non si dovrebbero più celebrare in aula ma fuori di essa, attraverso un meccanismo che vedrà il solo ausiliario del giudice presente in aula mentre gli altri protagonisti potranno collocarsi dove più gli aggrada.

Tranne l’imputato e il suo difensore che dovranno, invece, porsi nello stesso luogo, con buona pace del distanziamento sociale.

E questo non per offrire loro una garanzia maggiore ma per esporli ad una possibilità, in questo caso meno remota, di contagio, ma anche alla necessità che in un processo farsa che si vuol celebrare per forza, l’avvocato si presti a fungere da pubblico ufficiale attestando la presenza dell’imputato.

Queste norme che dovrebbero coincidere con una fase di allentamento dell’emergenza vorrebbero essere trascritte in nome di essa ma nulla hanno da condividere con le sue finalità.

Quello che si prospetta è, invece, che la parte essenziale del processo- l’imputato- e il suo difensore, siano rilegati ai margini, in disparte, quasi fossero telespettatori dinanzi ad uno schermo che del processo non rifletterà neppure il nero delle toghe che molti riterranno di non dover indossare, a casa, sopra la vestaglia da camera.

Stupisce e indigna assistere a questi tentativi di scardinare le più basilari regole del contradditorio e dell’immediatezza, utilizzando la situazione emergenziale come pretesto. Il rischio collaterale della smaterializzazione del processo (che proseguendo di questo passo arriverà fino all’audizione a distanza anche dei testimoni), della celebrazione in absentia delle udienze, risiede nell’aumento esponenziale del pericolo che l’organo giudicante incorra in errore. Il momento valutativo della prova è di assoluta centralità e di estrema delicatezza nel processo di formazione del convincimento del giudice. L’analisi della casistica rivela come uno dei momenti processuali maggiormente esposti al rischio di verificazione dell’errore giudiziario sia proprio da individuare nella formazione della prova in dibattimento, attraverso lo strumento della cross examination e della successiva valutazione da parte del giudice. L’importanza della diretta assunzione della prova dichiarativa in dibattimento, risiede proprio nella necessità che il giudice abbia immediata percezione della persona del dichiarante nella sua totalità, del linguaggio non verbale, delle esitazioni, dei ripensamenti, e in generale di tutto quello che un soggetto sottoposto ad esame esprime, non filtrato da alcuno schermo, non interrotto dai possibili – quando non inevitabili – problemi di connessione, di immagine o quant’altro avrà a verificarsi qualora il legislatore intenda proseguire – come mostrano chiaramente le prescrizioni sinora assunte – nella direzione che inevitabilmente porterà alla smaterializzazione del processo penale.

Il processo è una garanzia per l’imputato, ancora considerato innocente sino a sentenza definitiva e non un inutile orpello da trattare con ogni mezzo possibile pur di addivenire ad una decisione. La compressione dei diritti di difesa e delle garanzie difensive vanno in primo luogo a scapito di quei mille innocenti che ogni anno vengono loro malgrado coinvolti in procedimenti penali che neppure avrebbero dovuto incominciare, e in alcuni casi neppure la presenza del difensore nei due gradi di giudizio di merito, né dinnanzi ai consiglieri della Corte di Cassazione riesce ad evitare la condanna. 

Le ragioni della improvvisa accelerazione ed ampliamento dei processi da trattare non sono più da rinvenire nell’emergenza. Come autorevolmente osservato dal Prof. Oliviero Mazza, l’occasio legis è l’emergenza epidemiologica in atto, ma il substrato culturale è ben altro e non ha nulla a che vedere con la tutela della salute.

Forse è il carico che la macchina giudiziaria penale sta accumulando?

Quella stessa che ha già dimostrato in un mese di non esser riuscita a fare, da remoto, neppure i processi in deroga.

O forse si vogliono fare le prove generali di un processo che in troppi vogliono rapido, asettico e disumanizzato?

Le prove di un non processo!

I dubbi sono tanti, così come i rischi, che ora in nome di un carico giudiziario che per decenni nessuno ha voluto smaltire, ora nel tentativo di remotizzare il giusto processo e con esso i diritti e le garanzie, certamente finirebbero con l’influire con la qualità del momento più solenne del processo, quello dell’accertamento della responsabilità penale dell’imputato.

Una qualità che già negli ultimi decenni non è riuscita ad evitare il proliferare di errori giudiziari; non numeri, ma persone, innocenti, vite straziate dalla privazione della libertà e dall’onta della condanna ingiusta.

E che i principali errori si insidino proprio nel superficiale approccio alle prove è ormai certezza nella letteratura giudiziaria sul punto.

Iniziare a percorrere oggi la strada virtuale - senza una ragione effettiva di necessaria trattazione in deroga-significherebbe avviarsi su un percorso che consentirà domani di porre anche il testimone dinanzi ad uno schermo, lontano da tutti, fuori da un processo che giudica vite, di innocenti e presunti tali fino alla sentenza irrevocabile.

La possibilità di amplificazione dell’errore giudiziario, una volta percorsa la strada del finto contraddittorio, non sarà remota, tutt’altro!

Meglio quindi un processo rinviato che un processo farsa che non serve a nessuno!

L’avvocatura non può avallare l’ombra di un processo che non solo non rende giustizia, ma rischia di negarla soprattutto agli innocenti, ancora una volta, ma con più colpe e responsabilità di prima.

Roma, 20.4.2020

 L’Osservatorio sull’Errore Giudiziario