L’Associazione dei Professori di Diritto Penale interviene sulle prospettive di riforma della legittima difesa, ora in discussione, con un documento pienamente condivisibile.
La nota della Giunta.
L’Associazione dei Professori di Diritto Penale interviene sulle prospettive di riforma della legittima difesa, ora in discussione, con un documento pienamente condivisibile, il cui testo pubblichiamo. Innanzi tutto, esso sottolinea come sia illusorio, fuorviante e finanche ingannevole presentare il ddl di modifica come introduttivo di una riforma che renda l’autore della difesa “immune” da qualsiasi accertamento giudiziale. Un accertamento del Magistrato sarà sempre inevitabile. In secondo luogo, la critica si appunta sul cambiamento, pur esso illusorio, ma anche pericoloso, del nome della scriminante che non si chiamerebbe più “legittima difesa”, ma “diritto di difesa”. Il che potrebbe lasciar intendere che si tratti di un diritto illimitato che prescinde perfino da requisito della “necessità di difendersi”, trasformando così la “legittima difesa” in un incontrollato diritto di offesa.
Certo ben dovrebbe tenersi conto - prosegue il documento -, soprattutto nel valutare l’elemento psicologico in caso di eccesso, delle particolari condizioni in cui si forma la volontà di chi si vede aggredito nel proprio domicilio, ma a tal fine non v’è bisogno di sovvertire completamente la struttura della scriminante che, in uno Stato di diritto, deve mantenere fermo il principio della necessità di difendersi e della proporzione tra offesa temuta e reazione
La Giunta
Roma, 24 luglio 2018
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L’Associazione Italiana dei Professori di Diritto penale esprime profonda preoccupazione per le iniziative parlamentari in corso sulla legittima difesa e per i messaggi ingannevoli che sul tema si stanno diffondendo nell’opinione pubblica.
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La causa di giustificazione della legittima difesa non ha mai avuto nulla a che fare – in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo – con una licenza di uccidere, poiché la legittimità della difesa è stata sempre subordinata a precisi requisiti: primo fra tutti la necessità di difendersi, in assenza della quale non si parlerebbe più di difesa, ma di offesa gratuita e deliberata. Nel requisito della necessità è implicita un’idea di proporzione della difesa rispetto all’offesa, poiché una difesa volutamente sproporzionata cesserebbe di essere difesa e assumerebbe i contenuti di un’offesa.
L’idea di introdurre un “diritto di difesa” che prenda il posto della legittima difesa – come vorrebbe la proposta di legge n. 580 – stravolge quindi il significato della causa di giustificazione, poiché introduce una licenza di uccidere ancorata semplicemente a un rapporto cronologico tra aggressione e “difesa”: qualunque compressione del requisito della proporzione della difesa, mediante una presunzione normativa della sua sussistenza (come nelle proposte di legge n. 274, 308 e 580 attualmente all’esame della Camera dei deputati), non può in ogni caso escludere la necessità della difesa stessa.
Il solo e vero problema consiste nello stabilire quando ricorra il requisito della proporzione e sia scusabile un eccesso di difesa: che si tratti di un problema da sempre avvertito come assai delicato lo dimostra l’antico detto secondo cui l’aggredito che si difende “non ha la bilancia in mano” (non habet staderam in manu).
Il dibattito sulla riforma della legittima difesa promette oggi all’opinione pubblica vantaggi illusori, perché la riforma annunciata è presentata in modo ingannevole.
I cittadini devono infatti essere informati che, se si uccide o si ferisce qualcuno, nessuna riforma potrà mai assicurare che non vengano svolti accertamenti penali o che essi siano meno approfonditi di quelli che si compirebbero in caso di uccisione del cane del vicino (per verificare il delitto di uccisione di animali: art. 544-bis c.p.). Le indagini processuali saranno invece necessariamente maggiori. Si possono infatti eccedere i limiti della difesa anche intenzionalmente (per dare una bella lezione all’aggressore): fatto punito ovunque, non solo in Italia. E verificare se l’eccesso sia stato intenzionale, oppure no, comporta già un’indagine penale. Che è obbligatoria, non discrezionale.
Al fine di evitare l’accertamento del giudice penale non servirebbe neppure restringere le ipotesi punibili, fino a limitarle ai casi di vendetta intenzionale mascherata da difesa legittima, dovendosi necessariamente considerare i casi in cui la sproporzione sia dipesa non da intenzione malevola che si “approfitta” dell’aggressione per togliere di mezzo un ladro o un rapinatore, ma da un grave turbamento (che c’è sempre, di regola, nella legittima difesa domiciliare) e tuttavia l’aggredito abbia esagerato in modo molto evidente nel procurare all’aggressore un danno ben più grave di quello temuto.
Anche qui la verifica sulle reali intenzioni dell’aggredito sarebbe necessaria, e dunque inevitabile la sua iscrizione nel registro degli indagati, salvo l’evidenza del contrario.
Chi propone la riforma sa benissimo tutto ciò ma, non dicendolo all’opinione pubblica, non rende un servizio alla verità. A meno che non intenda davvero presentare un progetto illegittimo, che voglia mandare assolto l’aggredito che si difende a prescindere da ogni necessità e proporzione. Ma tale esito, come prima osservato, risulta contrario ai principi costituzionali, convenzionali e internazionali.
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