L’ennesimo appesantimento difensivo, portato dall’informatizzazione del processo penale e dal suo federalismo applicativo, riguarda il pagamento dei diritti di copia degli atti. Le ultime novità interpretative da ultimo recapitate a mezzo circolare il 13 maggio scorso dal Ministero della Giustizia paiono innanzi tutto obliterare totalmente quel che è (o dovrebbe essere) il senso ultimo di un diritto “forfettizzato”, da intendersi quale “gabella” da scontare una tantum e non per ogni “riversamento” o “trasmissione” di atti. Pubblichiamo il documento della Giunta e dell’Osservatorio informatizzazione del processo penale.
L’ennesimo appesantimento difensivo, portato dall’informatizzazione del processo penale e dal suo federalismo applicativo, riguarda il pagamento dei diritti di copia degli atti.
Premesso che -in attesa della messa a disposizione degli “utenti abilitati esterni” del fascicolo informatico quale contropartita alla collaborazione nella sua implementazione attraverso i depositi telematici (cfr. Relazione Illustrativa al D.LGS. 150/2022)- sarà sempre troppo tardi quando finalmente riusciremo ad approvare una norma di civiltà e di ragione che elimini l’anticipazione a carico del cittadino delle spese che lo Stato gli imputa per mettergli a disposizione gli atti che ha raccolto a suo carico, si sperava che con il progressivo avvento della digitalizzazione (con riduzione dei supporti cartacei) le cose sarebbero migliorate anche su questo aspetto, forse minore ma non per questo meno sentito.
Una speranza purtroppo destinata ad essere frustrata dalle ultime novità interpretative da ultimo recapitate a mezzo circolare il 13 maggio scorso dal Ministero agli Uffici giudiziari della Penisola.
Occorre ricordare che a livello di normazione primaria la materia è regolata dall’art. 269-bis d.P.R. n. 115/2002 (t.u. spese giustizia), recentemente introdotto dall’art. 1, comma 815, lett. b), legge 207/2024. La disposizione, concernente il processo penale telematico, prevede che «Per la trasmissione da parte della segreteria o della cancelleria del duplicato o della copia informatica di atti e documenti del procedimento penale è dovuto il diritto forfetizzato nella misura stabilita dalla tabella contenuta nell'allegato n. 8 al presente testo unico».
Precisato che tale disciplina riguarda indistintamente atti e documenti nativi digitali e nativi analogici successivamente digitalizzati, il richiamato allegato 8 del t.u. prevede, dal 1° gennaio 2025, due importi “forfettizzati” di spesa: euro 25,00 per il riversamento dei dati su strumenti di memorizzazione di massa fisici (chiavette USB, CD, DVD); euro 8,00 per ogni trasmissione telematica di dati tramite posta elettronica, posta elettronica certificata o accesso al portale e conseguente download.
Un’innovazione, quest’ultima, figlia di lodevoli intenzioni, tese ad incentivare la richiesta di copie in formato digitale (viste anche le limitazioni dell’utilizzo a tale scopo del PDP, che costringe il difensore ad “ordinare” e scaricare integralmente gli atti di un fascicolo senza possibilità di operare una cernita), con auspicabile progressivo abbandono di quelle cartacee, a tutto vantaggio sia dell’utenza che degli stessi uffici. Poiché al formalismo (come al peggio) non c’è mai fine, sono da subito emerse prassi discordanti se non addirittura contraddittorie, di talché la Direzione del Ministero si è sentita in dovere di impartire una serie di “disposizioni”.
In estrema sintesi, precisato che gli importi di cui sopra riguardano solo le richieste di copie informatiche e non di quelle cartacee (per le quali valgono le tariffe previste a tal fine, le quali già oggi sono “aumentate però del 50%”, ai sensi del d.l. n. 193/2009, decreto che, però, la stessa circolare considera “superato”), l’editto interpretativo ministeriale distingue il caso in cui si proceda al “riversamento dati su strumenti di memorizzazione di massa fisici (chiavette USB, CD, DVD)” dal caso in cui vi sia una “trasmissione telematica di atti e documenti”.
Nel primo caso, si dispone che il pagamento del diritto di 25,00 euro dovrà essere corrisposto per ogni singolo supporto utilizzato (e “fornito dal richiedente”, si affretta a precisare la circolare), e ciò indipendentemente dalla capienza, dal numero di pagine memorizzate o dalla tipologia di dati (audio o video) riversati sul supporto stesso.
Nel secondo caso, si stabilisce che l’istante sarà tenuto al pagamento del diritto di 8,00 euro per ogni singolo invio telematico, indipendentemente dal numero di pagine trasmesse; addirittura, nel caso di trasmissione tramite posta elettronica, allorquando si rendano necessari più invii a causa del limite di dimensione degli allegati consentita dalla casella di posta, per ciascuno di essi andrà corrisposto l’importo di 8 euro.
Ebbene, si tratta di “disposizioni” che meritano il più deciso disappunto in quanto intese a “scaricare” sulle parti private ed i loro difensori (ancora trattati da meri “utenti” del sistema giustizia invece che da necessari compartecipi) costi ed attività non previsti dalla normativa primaria.
Invero, non pare rinvenirsi alcuna norma che imponga al richiedente di fornire a sue spese i supporti sui quali “riversare” gli atti in formato digitale e men che meno che questi debbano essere inviolati (come pure pretendono prassi di alcuni uffici giudiziari, costringendo così gli “utenti” ad acquistarli ogni volta), ed è assai discutibile che più invii a mezzo posta elettronica, pur se relativi alla stessa richiesta sullo stesso fascicolo, debbano essere pagati un tanto al chilo (rectius, a invio), a volte sol perché non si possa o voglia utilizzare un semplice programma di compressione files.
In una sorta di limbo normativo, poi, si collocano le copie che il difensore provvede a fare da sé con il suo cellulare (a volte impiegando una notevole quantità del proprio tempo); le interpretazioni variano: alcuni uffici lo vietano, altri costringono il difensore al pagamento dell’importo forfettizzato di 25 euro, non importa se le “foto” scattate siano due o duecento (!). Il provvedimento ministeriale di fresca emanazione, ne stigmatizza in radice la modalità, ritenuta elusiva delle disposizioni fiscali, sottintendendo –speriamo– che sia così solo laddove la “captazione” avvenga senza corresponsione di diritti.
Ora, il combinato disposto tra la normazione e le sue burocratiche interpretazioni pare innanzi tutto obliterare totalmente quel che è (o dovrebbe essere) il senso ultimo di un diritto “forfettizzato”, da intendersi quale “gabella” da scontare una tantum e non per ogni “riversamento” o “trasmissione” di atti.
Ma il dato ancor più sconfortante è un altro: non si comprende perché copie di atti e documenti digitali debbano essere “riversati” su dispositivi (che le parti private sono tenute a fornire) o “trasmessi” a mezzo e-mail (con eventuale moltiplicazione di costi e difficoltà), quando esiste una modalità assai più semplice ed economica, lecita (normativamente) e possibile (tecnicamente): la possibilità di estrarre le copie degli atti direttamente tramite PDP, una volta che si sia inviata la richiesta e pagati i diritti. Una modalità che da regola regina quale dovrebbe essere (almeno nelle intenzioni) viene però relegata nella soffitta delle eccezioni.
A dimostrazione che anche le migliori…intenzioni artificiali nulla possono contro una contraria…volontà naturale. Almeno gli apocalittici dell’IA possono avere di che stare tranquilli.
Roma, 19 maggio 2025
La Giunta
L’Osservatorio informatizzazione del processo penale
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