15/04/2025
Il binario infinito tra garantismo ed efficientismo, cultura e subcultura del processo penale

La novella introdotta dalla legge 31 marzo 2025, n. 47 recante "Modifiche alla disciplina in materia di durata delle operazioni di intercettazione" (c.d. legge Zanettin), approvata definitivamente alla Camera il 19 marzo scorso e pubblicata sulla G.U. n. 83 del 9.4.2025), che entrerà in vigore il 24 aprile 2025, ha ulteriormente inasprito il dibattito politico-giudiziario che quotidianamente vede contrapposti, su posizioni sempre più distanti tra loro, il Sindacato delle toghe e, in questo caso, il Parlamento più che il Governo.
La nota della Giunta e dell'Osservatorio doppo binario

La novella introdotta dalla legge 31 marzo 2025, n. 47 recante "Modifiche alla disciplina in materia di durata delle operazioni di intercettazione" (c.d. legge Zanettin), approvata definitivamente alla Camera il 19 marzo scorso e pubblicata sulla G.U. n. 83 del 9.4.2025), che entrerà in vigore il 24 aprile 2025,  ha ulteriormente inasprito il dibattito politico-giudiziario che quotidianamente vede contrapposti, su posizioni sempre più distanti tra loro, il Sindacato delle toghe e, in questo caso, il Parlamento più che il Governo.

Se, da un lato, il Parlamento ha dimostrato una sensibilità garantista su diritti e libertà costituzionali, dall’altro, la Magistratura associata ha manifestato la propria contrarietà a tali iniziative legislative, dirottando la cultura della giurisdizione (solitamente buona per tutte le stagioni) sul versante marcatamente inquisitorio dell’efficientismo/gigantismo investigativo.

A bene vedere, la “preoccupazione” delle toghe, secondo cui il limite temporale di 45 giorni alla durata complessiva (nel regime ordinario) delle operazioni di intercettazioni sarebbe limitante ed irragionevole, poiché asimmetrico rispetto al ben più lungo termine di durata massima delle indagini preliminari, disvela una certa insofferenza ad ogni forma di adeguato ed effettivo controllo del Giudice rispetto all’attività investigativa del P.M.

Non sfugge, invero, che la reale “novità” introdotta è rappresentata dall’indispensabilità della prosecuzione delle operazioni di intercettazione, giustificata dall’emergere di elementi specifici e concreti, che dovranno essere oggetto di un’espressa motivazione a supporto dell’eventuale richiesta di proroga del Pubblico Ministero, così presupponendo una posizione di effettiva di terzietà del Giudice, assolutamente necessaria al fine di evitare che il maggiore rigore motivazionale rimanga lettera morta.

In particolare, il nuovo art. 267, comma 3, c.p.p. prevede che: «Le intercettazioni non possono avere una durata complessiva superiore a quarantacinque giorni, salvo che l'assoluta indispensabilità delle operazioni per una durata superiore sia giustificata dall'emergere di elementi specifici e concreti, che devono essere oggetto di espressa motivazione».

Invero, va ribadito come la previsione del termine massimo di giorni 45 generi una più ampia tutela garantista verso l’indagato ma anche verso i terzi estranei “al reato”, che possono essere oggetto di captazione, senza, tuttavia, ostacolare eventuali specifiche esigenze investigative, mediante la previsione di una deroga al suddetto limite quando la prosecuzione dell’attività di captazione si riveli di "assoluta indispensabilità”, sulla base della sussistenza “di elementi specifici e concreti, che devono essere oggetto di espressa motivazione"

Non è chiaro se il requisito degli specifici elementi ai fini della sussistenza dell’«assoluta indispensabilità delle operazioni» che consentono le captazioni oltre il limite complessivo di 45 giorni possano emergere anche al di fuori delle attività predette che già si sono svolte per 45 giorni massimi consentiti.

Sotto tale profilo, sarebbe stata necessaria una specifica indicazione normativa, finalizzata ad evitare il rischio che il rafforzamento motivazionale sotteso alla deroga possa essere agevolmente aggirato e sostanzialmente depotenziato.

In assenza di una disposizione transitoria, qualche problema di ordine applicativo potrebbe sorgere in relazione al regime intertemporale, secondo il principio del tempus regit actum, poiché non è chiaro, quanto al computo del limite complessivo dei 45 giorni e al momento di emersione degli elementi che giustificano la prosecuzione delle operazioni stesse, se la nuova previsione normativa debba applicarsi anche ai procedimenti penali in corso ovvero solamente a quelli di nuova iscrizione.

La nuova disciplina realizza, comunque, un giusto bilanciamento tra l’esigenza dell’accertamento dei fatti-reato, la tutela del diritto alla riservatezza dell’individuo e la presunzione di non colpevolezza dell’indagato e, sotto tale profilo, non pare possano residuare perplessità sul piano della coerenza sistematica e della ragionevolezza

La regolamentazione della durata delle operazioni di intercettazione, in linea generale, pone un limite all’assunzione indiscriminata, sul piano quantitativo e qualitativo, di una non consentita funzione esplorativa, finalizzata alla eventuale acquisizione, diretta o indiretta, di altre notizie di reato del tutto avulse rispetto al procedimento penale per cui si procede.

Le opinioni contrarie rispetto all’ulteriore requisito motivazionale introdotto dalla legge de qua non si confrontano, peraltro, col fatto che la disciplina del mezzo di ricerca della prova delle intercettazioni non riguarda solo l'indagato/imputato, ma può essere utilizzata indiscriminatamente nell’ambito delle indagini preliminari nei confronti della moltitudine dei terzi, anche estranei al presunto reato, e per di più anche nei riguardi della presunta persona offesa.

Ne discende come la previsione introdotta dal nuovo art. 267, comma 3, c.p.p. introduca un nuovo requisito per continuare le operazioni di captazione decorsi 45 giorni al fine di ristabilire una proporzione tra detta attività, la privacy dei terzi e il principio di non colpevolezza dell’indagato, così finendo per prevenire l’uso distorto, emerso nell’esperienza pratica delle investigazioni, di sottoporre ad intercettazione – anche preventiva nel caso del regime speciale – i soggetti terzi senza limiti temporali e, molto spesso, senza neppure acquisire alcun elemento indiziario rilevante.

Si introduce, in pratica, un forma di equilibrio logico-giuridico approntando  una maggiore tutela per il diritto alla riservatezza, attraverso un più pregnante onere motivazionale gravante sul Pubblico Ministero, ai fini della assoluta indispensabilità oltre i 45 giorni, e un corrispondente onere di controllo da parte del Giudice, nel momento in cui è intenzionato a richiedere la proroga delle operazioni di intercettazione, quale contraltare all’intensificarsi o prolungarsi della compressione di libertà costituzionalmente garantite.

È utile ricordare come, poco meno di due anni fa, la Corte Edu (Sentenza n. 4 del 23 maggio 2023, Contrada contro Italia) ha condannato il nostro paese poiché la disciplina nazionale in materia di intercettazioni viola il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza (art. 8 Cedu), connaturato all’esistenza stessa di ogni persona, poiché l’ordinamento giuridico domestico non prevedeva una normativa interna, con «garanzie adeguate ed effettive», a protezione dal «rischio di abusi» che colpiscano coloro i quali – pur non essendo accusati di essere coinvolti nella commissione di un reato – siano oggetto (come la legge consente) di un provvedimento che dispone le captazioni. In particolare, la Corte di Strasburgo ha denunciato il fatto che non è attribuita loro la «facoltà di adire un’autorità giudiziaria al fine di ottenere un controllo effettivo della legalità e della necessità della misura», nonostante l’indubbia invasività della stessa.

Allo stesso tempo, tuttavia, pur dovendosi accogliere positivamente l’intervento legislativo, non può sottacersi il rischio di ampliamento operativo del regime speciale/derogatorio di cui all’art. 13 D.L. n. 152/1991, che già coinvolge un nutrito paniere di fattispecie delittuose ritenute “simili” a quelle di mafia e terrorismo (a questi reati vanno aggiunti, per effetto di un rinvio all'art. 13 d.l. n. 152/1991, le fattispecie incriminatrici previste dall’art. 6, comma 1, D.Lgs. 9 dicembre 2017, n. 216 e quelle di cui all'art. 9 L. 11 agosto 2003, n. 228), su cui si apre il binario infinito delle intercettazioni eterne.

Ad onore del vero, nel momento in cui la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34895/2022, aveva espressamente escluso che l’aggravante prevista dall’art. 416 bis.1 c.p. facesse rientrare la condotta contestata nella nozione di criminalità organizzata e legittimare quindi il regime speciale delle intercettazioni previsto dall’art. 13 del D.L. 152/1991, il Legislatore è corso urgentemente “ai ripari” mediante la norma di interpretazione autentica (art. 1 D.L. 105/2023), secondo cui il regime speciale si applica, tra le altre, anche alle ipotesi di reato aggravate ai sensi del citato art. 416 bis.1.

In altri termini, ad una ragionevole perimetrazione dell’ambito di operatività del c.d. regime speciale da parte della giurisprudenza di legittimità, è immediatamente seguita una “riapertura degli argini” sul piano direttamente normativo, ulteriormente dimostrativa della continua espansione delle ipotesi di reato preventivamente opprimenti le garanzie costituzionali previste per il cittadino indagato. 

In realtà, le intercettazioni, in linea con la loro collocazione codicistica, devono tornare ad essere un mezzo di ricerca della prova, piuttosto che di preventiva e incontrollata ricerca di reati.

L’intervento del Legislatore su un testo che già, almeno in linea teorica, disegna il ricorso allo strumento delle intercettazioni come eccezionale, indicando non solo la sussistenza di gravi indizi di reato (che già di per sé ne escluderebbe l’utilizzo per la ricerca di reati), ma anche l’assoluta indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini deriva, con tutta evidenza, dalla constatazione che ciò che manca è proprio l’effettivo esercizio da parte del Giudice della propria funzione di controllo dell’operato del P.M.

La novella appare ispirata dalle medesime ragioni che avevano portato il Legislatore del 2015 ad intervenire sulla disciplina delle misure cautelari, richiedendo, tra l’altro, a pena di nullità, che l’ordinanza cautelare contenesse una “autonoma valutazione”, precisazione che sarebbe dovuta suonare offensiva per il Giudice, se non fosse che muoveva dalla oggettiva constatazione di un sistematico appiattimento di quest’ultimo sulle richieste del P.M., attraverso il mero copia e incolla della medesima richiesta, molto spesso analoga alla relazione conclusiva della polizia giudiziaria.

Ancora una volta, ciò che viene a mancare per l’equilibrio del sistema, nella fase delle indagini preliminari, è l’effettiva cultura della giurisdizione attuata da un Giudice Terzo, che operi senza condividere gli scopi del P.M. e che interpreti la propria funzione come limite e garanzia del rispetto delle regole e, dunque, dei diritti dei cittadini.

Roma, 15 aprile 2025
La Giunta
L'Osservatorio Doppio Binario e Giusto Processo

 DOWNLOAD