28/01/2025
Sull'affettività e sul fondamentale diritto alle relazioni umane in carcere siamo ancora al punto di partenza

Un anno dopo la sentenza 10/2024 della Corte Costituzionale solo silenzi, inerzia, indifferenza; il documento dell'osservatorio carcere

Il 26 gennaio dello scorso anno abbiamo salutato con profonda soddisfazione la sentenza n. 10 della Corte costituzionale in materia di colloqui intimi in carcere senza il controllo a vista. Una boccata d’ossigeno rispetto alla drammatica situazione che si vive nelle carceri tra sovraffollamento, suicidi e sofferenza diffusa e generalizzata.

La pronuncia n. 10 della Consulta è senza dubbio una pietra miliare di civiltà giuridica e di grande sensibilità culturale, ultimo tassello di un lunghissimo percorso, spesso faticoso e accidentato, di affermazione della titolarità di diritti soggettivi delle persone detenute.

Ci sono voluti ben 24 anni dall’approvazione della legge sull’ordinamento penitenziario del 1975 perché la Consulta riconoscesse che i diritti dei detenuti non vengono meno per il solo fatto di trovarsi in carcere (Corte cost. n. 26 del 1999); altri 14 anni perché dalla teoria si passasse alla pratica – a seguito di un richiamo della Corte europea, con la sentenza pilota Torreggiani e altri c. Italia del 2013 – con l’introduzione, da parte del legislatore, del reclamo giurisdizionale ex art. 35-bis ord. penit.

In poche parole, numerosi decenni perché in Italia si potesse ribadire che i detenuti sono persone con pari dignità e altrettanti diritti. Come ha ricordato Gaetano Silvestri, all’epoca giudice e presidente della Corte costituzionale: “La dignità umana, in quanto premessa dei diritti fondamentali, non è un diritto fondamentale a sé stante, ma sintesi di tutti i princìpi e diritti fondamentali costituzionalmente tutelati. Essa non è bilanciabile, in quanto è essa stessa la bilancia sulla quale disporre i beni costituzionalmente tutelati, che subiscono compressioni, e corrispondenti aumenti, entro i limiti di tutela della dignità, che nasce piena in ogni individuo e non si acquista per meriti e non si perde per demeriti” (v. G. Silvestri, in L'individuazione dei diritti della persona, in DPC online).

Tuttavia, quel percorso di “inveramento del volto costituzionale della pena”, a cui fa riferimento la Consulta, nella sentenza n. 10 del 2024, non è sempre stato lineare e, nel 2012, ha subito un fortissimo contraccolpo, con la pronuncia di inammissibilità della questione sull’affettività in carcere (n. 301 del 2012). che, pur riconoscendo il diritto alla sessualità nelle carceri come una esigenza seria e fortemente avvertita, lasciava all’indolenza legislativa il compito di colmare tale lacuna.

Forse il quesito non era completo, forse i tempi non erano maturi.

Sta di fatto che sono trascorsi altri 12 anni perché la Consulta mutasse indirizzo e ci restituisse una risposta chiara ed immediatamente efficace.

E siamo convinti che la Consulta non potesse usare parole migliori, da un lato, né che fosse possibile, dall’altro, essere più diretti di quanto non lo sia stata in questa pronuncia. 

Ricordiamole queste pietre miliari rese dalla Corte costituzionale.

La sessualità si caratterizza come “uno degli essenziali modi di espressione della vita umana” e, pur non potendo ridurre tutto al sesso, l’affettività è qualcosa che attiene a una dimensione di relazione molto più ampia, che riguarda, ad esempio, l’essere genitore, figlio, partner, ecc., caratteristiche proprie dell’essere umano. L’affettività è, quindi, universale e inerisce alla dimensione umana e della persona, anche se detenuta; l’esecuzione della pena non può mai incidere con un grado di afflittività tale che sia lesiva della dignità.

Con ciò, tuttavia, è bene ricordare che la Corte non ha generalizzato, né ammesso ogni forma di relazione all’interno delle carceri, ma ha circoscritto la fruizione di tale diritto solo all’interno di colloqui intimi senza la supervisione della polizia penitenziaria, ritenendo irragionevole e lesiva della dignità la previsione normativa dell’art. 18 ord. penit. che stabiliva il contrario in senso assoluto.

Il diritto all’affettività, quindi, deve essere garantito a tutti coloro che ne facciano richiesta e abbiano i requisiti soggettivi e non quelli oggettivi-negativi. Ragionando in questi termini, la Consulta si è adeguata sia ai principi costituzionali sia alle fonti internazionali nonché alle principali soluzioni dei Paesi europei.

Ben 31 Stati del Consiglio d’Europa conoscono ormai da decenni istituti simili e, in nessuno di questi, si è mai gridato allo scandalo.

È ancora la stessa Corte ad aver individuato dei criteri operativi in grado di uniformare l’azione amministrativa, come, ad esempio, quello di individuare dei locali adeguati o di stabilire una durata idonea o di dare preferenza a chi non fruisce di permessi premio all’esterno, ecc.

In buona sostanza, è indubbio come la Corte abbia fornito agli esperti un “pacchetto” di istruzioni e prescrizioni completo che contiene in nuce tutti gli aspetti su cui le istituzioni dovrebbero confrontarsi e assumere iniziative in grado di attuare quanto segnalato dalla Corte, in maniera chiara ed immediatamente efficace.

Eppure, nonostante tale chiarezza, ad un anno di distanza da quella pronuncia ci troviamo di fronte ad una generale indifferenza, al silenzio più assordante, a nessuna applicazione pratica.

Nessun passo avanti, né, ad oggi, si conoscono le intenzioni esplicite su quali saranno le sorti delle richieste legittime dei detenuti di fruire di colloqui intimi riservati con i propri partner.

Nessuna risposta ufficiale da parte dell’Amministrazione penitenziaria, nessun imperativo di applicazione pratica da parte della Magistratura di Sorveglianza.

È vero che il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria si è mosso con l’istituzione di un gruppo di lavoro, ma è altrettanto vero come, nonostante siano trascorsi 12 mesi, ad oggi non sia stata resa nota, ancora, nessuna programmazione, non sia chiaro quali risorse economiche saranno impiegate, né è dato sapere quale sarà il tempo massimo a disposizione del gruppo di lavoro per completare una prima sperimentazione.

L’assenza totale di indicazioni operative del Dipartimento sta destando incertezze a livello locale, tanto che ogni tipo di iniziativa assunta sui territori è stata da subito congelata, come quella assunta dalla Direzione del carcere di Padova che aveva manifestato la piena disponibilità ad iniziare una sperimentazione in grado di garantire l’effettività dei colloqui intimi per i detenuti.

Non solo. La mancanza di risposte o, quantomeno, di intenti sta generando una situazione paradossale su cui anche la Magistratura di sorveglianza sembra arenarsi.

Assistiamo a una sorta di rimpallo tra le Direzioni e la Magistratura in cui a rimetterci è solo il detenuto.

Fra queste spicca la decisione dell’Ufficio di Sorveglianza di Torino, doverosamente annullata dalla Cassazione, in cui il diritto all’affettività veniva degradato a mera aspettativa legittima.

Come se una posizione giuridica possa assurgere a diritto solo allorquando lo Stato sia in grado di renderlo tale e non perché lo sia in sé e in quanto lo Stato sia tenuto ad attuarlo, rendendolo effettivo.

Una fuorviante ed errata interpretazione di quanto espressamente riconosciuto dalla Corte costituzionale.

Siamo consapevoli dei limiti operativi che l’attuazione del diritto all’affettività può comportare, ma non per questo possiamo tollerare che la sentenza della Corte rimanga lettera morta o, addirittura, venga disapplicata, esponendoci a gravi responsabilità e al giudizio negativo degli organi sovranazionali e di quelli internazionali.

Ci rifiutiamo di ritenere che l’unica soluzione a disposizione dei detenuti e degli avvocati penalisti possa essere quella di innescare un sistema di reclami a catena, rischiando di ingolfare gli Uffici di Sorveglianza, per ottenere una risposta “forzata” dall’Amministrazione fino ai più alti livelli delle Corti sovranazionali.

Servono risposte immediate. Serve un piano d’azione. Serve – come auspicato dalla stessa Consulta – che tutti gli attori protagonisti della legalità in carcere collaborino e cooperino affinché venga garantita l’effettività del diritto all’affettività.

Un monito non solo programmaticamente rivolto al legislatore, da sempre sollecitato a rivedere l’ordinamento penitenziario in maniera organica, ma immediatamente all’Amministrazione penitenziaria e alla Magistratura di Sorveglianza.

Confidiamo che nell’anno appena iniziato si possa ragionare, anche congiuntamente alla comunità degli avvocati penalisti, per riportare a legalità la situazione in carcere e si possa cooperare con l’Amministrazione penitenziaria, a livello preventivo, e con la Magistratura di Sorveglianza, solo nei casi eccezionali di illegalità, per garantire l’esecuzione dei diritti soggettivi, compreso quello dell’affettività.

Un anno è passato invano e non possiamo sprecare altro tempo inutilmente.

Rivolgiamo un accorato appello a tutte le istituzioni affinché si adeguino alla sentenza della Corte costituzionale, fornendo concrete indicazioni operative, avviando le sperimentazioni, dando corpo a linee guida o circolari immediatamente esecutive, aprendosi, così, al dialogo, al confronto anche con la comunità dei penalisti che, come sempre, vigilerà sul rispetto della legalità, denunciando in ogni sede, anche quella internazionale, ogni situazione di perdurante illegalità della pena.

Roma, 28 gennaio 2025

L’Osservatorio Carcere