09/08/2024
Le morti silenziose nei centri per il rimpatrio

Mentre prosegue la conta dei morti in carcere, quanto accade nei centri di permanenza per il rimpatrio non suscita l’attenzione da parte dell’informazione. La morte di un giovane diciannovenne è avvenuta nel totale disinteresse della politica e del mondo dell’informazione. La nota della Giunta e della Commissione sui centri di permanenza per il rimpatrio

Mentre prosegue la conta dei morti in carcere, si è registrato l’ennesimo decesso in un luogo di detenzione, in questo caso un C.P.R., cioè un campo destinato al trattenimento amministrativo di migranti irregolarmente presenti sul territorio dello Stato.

Purtroppo non è il primo caso che si registra, sebbene anche la notizia di questi eventi risenta tragicamente della penuria di informazioni su quanto succede in quei miserabili luoghi, fuori dai riflettori dell’opinione pubblica e lontani anche dall’amministrazione statale, che ne appalta la gestione a soggetti privati.

Il gestore del campo in cui si è verificata la tragedia, quello di Palazzo San Gervasio (PZ), è recentemente cambiato perché la precedente gestione è stata al centro di un’inchiesta giudiziaria.

Il processo che sta per celebrarsi chiarirà se vi siano state violenze nei confronti dei migranti ospiti del centro, come riferiscono le locali cronache giudiziarie, che parlano anche di somministrazione impropria di psicofarmaci, altro frequente ed inquietante fenomeno che sembra appartenere a quei luoghi.

La vittima aveva solo 19 anni e pare si chiamasse Osama.

Non sappiamo molto di lui e della sua storia, salvo che veniva dall'Africa e che aveva affrontato un lungo e penosissimo viaggio, prima di arrivare in Italia, dove lo attendeva un così nefasto destino.

La sua morte ha provocato l’ennesima rivolta da parte degli altri migranti trattenuti nel centro di Palazzo San Gervasio, che sembra lamentino un precedente pestaggio da parte dei vigilanti del campo, notizia allo stato smentita da un comunicato dell’autorità sanitaria, secondo cui il decesso è ascrivibile a cause naturali.

Nei giorni scorsi, altre proteste ed altre rivolte si sono verificate in altri analoghi campi, che sempre più spesso oramai richiedono l’intervento di forze dell’ordine antisommossa.

Le condizioni in cui versano le persone che vi sono trattenute, secondo quanto trapela (c’è stata una visita di associazioni volontarie indipendenti nel centro milanese anche pochi giorni fa), aggravate anche dalla calura estiva, sono raccapriccianti. Si bivacca nei cortili, buttati su semplici materassi, perché i locali dormitorio sono insopportabilmente caldi, l’acqua è caldissima e il cibo malsano.

Gli atti di autolesionismo, quali forme estreme di protesta di chi oramai non ha che il proprio corpo per reagire, sono all’ordine del giorno.

Sempre a Milano, alcuni hanno organizzato uno sciopero della fame. Uno di loro che inviava un reportage quotidiano sulla sua protesta è stato trasferito in un altro non meglio precisato centro dove non è consentito tenere con sé gli smartphone, come a Milano, dove lo ha imposto una sentenza del T.A.R.

Sembra essere questa la modalità tipica con cui l’autorità risolve i problemi, isolamento e repressione.

Sarebbe forse invece il caso di trovare altre forme più umane e civili per celebrare la nostra ansia di presidiare i confini, piuttosto che accanirsi tanto brutalmente verso un pugno di sfortunati scelti a caso fra le migliaia che la legge consentirebbe di trattenere in stato di privazione della libertà in attesa di rimpatrio.

Se abbiamo ancora una coscienza collettiva, c’è da augurarsi che fatti come questo riescano a risvegliarla.

Roma, 9 agosto 2024

 

La Giunta

La Commissione sui Centri di permanenza per i rimpatri

 

 DOWNLOAD