31/10/2022
Rinvio della riforma Cartabia e stretta sulle ostatività: la presa di posizione dell'Unione

Il decreto legge che il Consiglio dei Ministri si appresta a licenziare oggi manifesta evidenti e gravi profili di incostituzionalità e, quanto ai supposti motivi di urgenza, di evidente illegittimità. Il documento della Giunta UCPI sulle ragioni del richiesto incontro con il Ministro della Giustizia On. Carlo Nordio.

Il Dl con il quale il Governo intende affrontare, con un unico testo, due questioni del tutto diverse ed indipendenti tra di loro (art. 4 bis ord. penitenziario e rinvio entrata in vigore riforma Cartabia), reca in sé evidenti e gravi profili di illegittimità e di incostituzionalità.

DIFETTO ASSOLUTO DI OGNI PLAUSIBILE RAGIONE DI URGENZA

Sul rinvio della entrata in vigore della legge Cartabia, le addotte (seppure del tutto genericamente) difficoltà di ordine strutturale e logistico degli uffici giudiziari a darne immediata esecuzione, certamente non possono riguardare tutta la parte della riforma dedicata al sistema sanzionatorio e della esecuzione penale. Non si comprende quali difficoltà dovrebbero incontrarsi -a titolo di esempio- per l’ampliamento del catalogo dei reati perseguibili solo a querela, o per l’attuazione delle modifiche in tema di misure alternative alla detenzione, o per l’affidamento al giudice di merito della facoltà di irrogare direttamente con la sentenza pene alternative al carcere. La pretestuosa estensione anche a questa importante parte della riforma di esigenze di natura organizzativa, qui del tutto irrilevanti, autorizza la convinzione che detto ingiustificato rinvio preluda ad una riscrittura di questa parte della riforma, attesa la sua evidente incompatibilità con la fosca narrazione identitaria del “buttare la chiave” che, all’evidenza, vuole ispirare i primi passi del nuovo governo in tema di giustizia penale.

Dubbi non meno fondati solleva la pretesa sussistenza di ragioni di urgenza quanto alla parte del decreto relativo all’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario. E’ trascorso oltre un anno e mezzo dalla ordinanza della Corte Costituzionale che sospendeva il proprio dichiarato giudizio di incostituzionalità dell’attuale regime normativo (automatica preclusione normativa della possibilità di fruizione di misure alternative alla detenzione per i reati c.d. “ostativi”), per consentire al Parlamento di adottare le necessarie misure di coordinamento che consentissero un razionale ed armonico impatto della declaratoria di incostituzionalità sulla complessa normativa di risulta che ne sarebbe derivata. Il Parlamento è stato inadempiente, ed ora la mera pendenza della udienza fissata dalla Corte per il prossimo 8 novembre non può certo tramutarsi in una ragione di urgenza, trattandosi di un esito chiaro e noto sin dalla pronuncia della ordinanza, e già prorogato una volta.

Al contrario, con il pretesto della urgenza in realtà si punta a sterilizzare la decisione della Corte, che peraltro si troverà comunque di fronte ad un provvedimento di natura provvisoria perché in via di conversione.

SULL’ART. 4BIS DELL’ORDINAMENTO PENITENZIARIO

Il D.L. propone un inammissibile peggioramento -rispetto a quello già oggetto della valutazione di incostituzionalità della Corte- del quadro normativo in tema di ostatività ed accesso alle misure alternative alla detenzione. in tal modo si pone in essere un inedito, gravissimo conflitto tra il legislatore ed il giudice delle leggi, un vero atto di ribellione del primo verso il secondo, in spregio degli assetti istituzionali e costituzionali che regolano quel rapporto.

inoltre, si opera una inammissibile manipolazione informativa verso la pubblica opinione, rappresentando le misure adottate come riferibili in via esclusiva all’ergastolo ostativo ed ai reati di mafia. le misure peggiorative introdotte riguardano tutti i reati ostativi, a cominciare dai reati contro la pubblica amministrazione

L’accettazione del principio fissato dalla Corte, cioè la eliminazione di ogni divieto normativo di concessione di alcuni benefici anche per i reati ostativi, costituisce un espediente solo formale per accreditare in apparenza la sua natura pretesamente attuativa della ordinanza della Corte Costituzionale.

In realtà, vengono inserite tali e tante modifiche, ed introdotte tali e tante condizioni “impossibili”, da determinare un eclatante peggioramento del regime normativo previgente, in spregio delle indicazioni del Giudice delle Leggi.

In sintesi:

  1. attraverso l’aggravante del nesso teleologico, si estendono le ostatività anche ai reati connessi non ostativi. In sostanza, chi sia stato condannato per un reato ostativo (es: concussione) e per reati connessi (es: falso ideologico, truffa), dopo aver scontato la pena principale in regime di ostatività, dovrà scontare nel medesimo regime anche i reati connessi pur non ostativi, salvo l’onere di dimostrazione della inesistenza di una connessione qualificata.
  2. Non si prende atto della esistenza della condizione di chi pur volendo collaborare non è in condizioni di poterlo fare, o la cui collaborazione è irrilevante, rendendo equiparate le diverse situazioni in termini di standard probatori rafforzati. Peraltro, proprio di recente la Corte costituzionale con la Sentenza n. 20 del 25 gennaio 2022 espressamente salva dall’abrogazione quelle ipotesi e i relativi standard probatori più affievoliti e diversificati rispetto a chi ha deciso, per le più svariate ragioni, di non collaborare e che con questa riformulazione verrebbero ignorate.
  3. La riscrittura del comma 1 bis dell’art. 4 bis oltre a cancellare le ipotesi diverse della collaborazione impossibile, inesigibile e/o irrilevante come sopra indicato inserisce un percorso talmente contorto e ricco di requisiti aggiuntivi, tautologici o assolutamente disancorati rispetto alla congrua valutazione per la esclusione di collegamenti attuali con la criminalità organizzata e del pericolo di concreto ripristino, da rendere la possibilità di revisione della pena ostativa impossibile de iure et de facto (in violazione di quanto indicato dalla CEDU, da ultimo Viola c/Italia).
  4. Si estende il tortuoso percorso anche ai condannati per tutti gli altri reati inseriti nel 4 bis (pubblica amministrazione, violenza sessuale aggravata, etc.)
  5. L’innalzamento a trent’anni per l’accesso alla liberazione condizionale per gli ergastolani, (con il riformulato art. 2 comma 1 lett. b), appare eccessiva rispetto alle indicazioni rese più volte dalla CEDU agli Stati contraenti secondo cui il termine per consentire il riesame dello stato detentivo non dovrebbe superare i 25 anni. Teniamo conto che già l’art. 176 cp indica in 26 anni il limite per accesso per ergastolani. Anche l’innalzamento a dieci anni del termine di durata della liberazione condizionale per l’estinzione della pena dell’ergastolo risulterebbe raddoppiata rispetto all’attuale.

Queste in sintesi – ed altre più complesse- le questioni che i penalisti italiani chiedono di poter rappresentare al Ministro di Giustizia on. Carlo Nordio nel richiesto incontro, confidando che egli voglia impedire la perpetrazione di un atto che, oltre ad ogni considerazione di merito, costituisce un inammissibile atto di ribellione al Giudice delle leggi.

Roma, 31 ottobre 2022

La Giunta