27/06/2022
Commento alla sentenza De Giorgi c/Italia - C.Edu 16 giugno 2022 n. 23735/19

De Giorgi c/Italia 16.06.2022 n. 23735/19 - La Corte EDU ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 2 CEDU per l’inerzia delle autorità italiane nel proteggere una donna e i suoi figli dalle violenze e i maltrattamenti inflitti dal compagno il quale, in una escalation di continui soprusi e violenze, avevano condotto l’uomo all’uccisione del figlio di un anno della ricorrente e al tentato omicidio di quest’ultima. Il commento a prima lettura è stato steso da Claudio Avesani, componente dell’Osservatorio Europa.

Nuova condanna da Strasburgo per l’Italia, relativamente a un caso di violenza in ambito familiare, a pochi mesi dal caso Landi c. Italia (C. Edu 7 aprile 2022, n. 10929/19), nel quale la Corte EDU ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 2 CEDU (Diritto alla vita) per l’inerzia delle autorità italiane nel proteggere una donna e i suoi figli dalle violenze e dai maltrattamenti inflitti ripetutamente dal compagno di lei, che avevano alla fine condotto all’omicidio del figlio di un anno della coppia, e al tentato omicidio della ricorrente.

Qualche anno addietro, una analoga vicenda, sfociata anch’essa, al termine di una lunga serie di aggressioni, nell’omicidio del figlio della ricorrente e nel tentato omicidio di quest’ultima da parte del marito, aveva determinato una condanna dell’Italia per violazione degli artt. 2 e 3 CEDU (Proibizione della tortura). (C. Edu 2 marzo 2017 Talpis c/Italia n. 41237/14)

L’art. 3 della Convenzione, a fronte del suo richiamato tenore letterale, consistente nella scarna enunciazione di un mero divieto (Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti), ha, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, progressivamente assunto la natura di fonte dell’obbligo positivo, da parte delle autorità statali, di compiere indagini rapide ed effettive e di garantire una protezione efficace nei casi di violenza. 

Già nelle pronunce rese sui casi Labita c. Italia, del 6.4.2000 e Indelicato c. Italia, del 18.10.2001, relative a presunte violenze commesse nei confronti di detenuti, la Corte Edu pur negando la violazione dell’art. 3 Cedu quale conseguenza di violenze fisiche asseritamente subite dai ricorrenti, in quanto i fatti non erano stati sufficientemente dimostrati, ha per converso affermato la violazione della medesima previsione, sotto il profilo procedurale, stante l’assenza di indagini efficaci da parte delle autorità nazionali sui denunciati episodi di maltrattamento.

I fatti

Nel caso deciso con la sentenza in esame Silvia De Giorgi, madre di tre figli, si era rivolta alla Corte affermando come le autorità italiane non avessero fatto il necessario per proteggerla, nonostante le ripetute denunce, lamentando la violazione degli artt. 3 e 8 CEDU, sotto il profilo della mancata protezione e assistenza da parte dello Stato italiano in un contesto di violenza domestica.

Secondo la ricorrente le autorità italiane sarebbero venute meno all’obbligo imposto dall’art. 3 della Convenzione, e ciò in quanto sono state avvertite a più riprese della violenza del marito, e ciò nonostante non hanno adottato le misure necessarie ed appropriate per proteggere lei e i suoi bambini contro il pericolo reale e conosciuto che questi rappresentava, non avendo peraltro impedito la commissione di ulteriori violenze domestiche; in particolare la ricorrente espone che, nonostante la richiesta di una misura di protezione avanzata dai carabinieri al procuratore della Repubblica, l’Autorità giudiziaria non l’avrebbe adeguatamente protetta.

Silvia De Giorgi e il marito si sono separati nel 2013. Dal matrimonio sono nati 3 figli, affidati alla madre, ma con facoltà del padre di vederli liberamente.

La ricorrente ha sporto numerose denunce nei confronti dell’ex marito, per comportamenti violenti e persecutori, anche indicando testimoni suscettibili di confermare le proprie dichiarazioni.

Il 18 novembre 2015 la ricorrente ha sporto denuncia ai Carabinieri di Padova, affermando che da tempo l’ex marito la seguiva, la minacciava, controllava il suo telefono, minacciava di suicidarsi e di sterminare l’intera famiglia. 

Il 20 novembre 2015, l’ex marito ha aggredito fisicamente la ricorrente, minacciandola di morte e percuotendola; ha poi afferrato il suo telefono costringendola a entrare nell'edificio in cui viveva la madre di lui; alla polizia arrivata sul posto, egli ha confessato di aver picchiato la ricorrente e di averle preso il cellulare. Anche questi fatti sono stati denunciati.

A seguito della prima denuncia, il Pubblico Ministero ha chiesto ai Carabinieri di effettuare un’inchiesta sulla coppia; il 23 novembre 2015 i Carabinieri inviarono al P.M. un rapporto aggiornato sulla situazione della ricorrente, riportando l’episodio di violenza del 20 novembre e chiedendo all’Autorità Giudiziaria di valutare l’adozione di una misura di protezione per la donna e di allontanare il marito dal domicilio familiare.

Nuove denunce vennero sporte poi dalla ricorrente il 18 dicembre 2015, il 18 e il 26 gennaio 2016, laddove la De Giorgi affermava che l’ex marito era entrato in sua assenza nella casa familiare, aveva installato in casa apparati al fine di ascoltare le sue conversazioni e, nell’ultima occasione, si era fatto trovare in casa con i bambini quando la donna era rientrata, tanto che la donna si diceva terrorizzata dal comportamento persecutorio dell’ex coniuge.

Il 12 febbraio 2016 la ricorrente adiva il Tribunale Civile chiedendo, nei confronti dell’ex marito, l’allontanamento dal domicilio familiare e il divieto di avvicinamento.

Il primo marzo 2016 la De Giorgi depositò un’ulteriore denuncia, lamentando in particolare che l’ex marito andava e veniva a suo piacimento nella casa nella quale ella e i bambini vivevano, non corrispondeva gli alimenti e avrebbe tenuto comportamenti violenti anche nei confronti dei bambini.

Il 22 marzo 2016 il Tribunale Civile di Padova rigettava la domanda della ricorrente, rilevando l’assenza di coabitazione, e osservando che il comportamento dell’ex marito doveva iscriversi in un contesto di separazione conflittuale.

Successivamente, il 5 maggio 2016, il Pubblico Ministero domandava al Giudice per le indagini preliminari di archiviare talune denunce sporte dalla De Giorgi ritenendole non abbastanza dettagliate, e che gli elementi raccolti non permettessero di esercitare con successo l’azione penale.

Nonostante l’opposizione della ricorrente, il 30 marzo 2017 il Gip archiviò parzialmente le denunce, osservando che le dichiarazioni della ricorrente non erano sufficientemente credibili, alla luce della conflittualità tra le parti.

Successivamente, nel settembre 2016 la De Giorgi denunciò il mancato pagamento degli alimenti, e l’inosservanza di un provvedimento giudiziario, affermando altresì che l’ex marito era violento con i bambini, e li aveva a più riprese traumatizzati, minacciandola di morte davanti a loro.

A seguito di queste denunce il Pubblico Ministero avviò una indagine; nel frattempo, nell’ambito della procedura di separazione personale il Tribunale aveva ordinato ai servizi sociali di redigere una relazione sulla situazione familiare; detto rapporto riferiva che i bambini erano stati maltrattati dal padre, non erano stati sufficientemente protetti dalla loro madre, e che si trovavano in una situazione di difficoltà.

Il rapporto fu inviato al Procuratore della Repubblica ed inserito nel fascicolo originato dalla denuncia sporta nel settembre 2016; nessuna inchiesta sarebbe invece stata effettuata per i maltrattamenti riguardanti i bambini.

Il 19 novembre 2018 la ricorrente chiese al Pubblico Ministero di accedere agli atti della procedura, di iscrivere nell’apposito registro la notizia di reato, di chiedere al GIP di riaprire le indagini archiviate nel 2016 per sentire i minori; infine il 6 dicembre 2019 la signora De Giorgi depositò una nuova denuncia per mancato pagamento degli alimenti.

Il 23 luglio 2020 il Pubblico Ministero esercitò l’azione penale per i fatti del 20 novembre 2015, con prima udienza tenutasi nell’aprile 2021.

Quanto al mancato pagamento degli alimenti, secondo le ultime informazioni disponibili, il procedimento era ancora pendente dal 2016.

La decisione della Corte

Con riferimento all’applicabilità dell’art. 3 della Convenzione, la Corte EDU ricorda che, affinché ne ricorra la violazione,  i maltrattamenti devono attingere a un livello minimo di gravità; livello superato nel caso di specie, considerato anche l’impatto psicologico della violenza domestica, poiché l’art. 3 non si riferisce esclusivamente all’inflizione di dolore fisico ma anche al patimento causato dal generarsi di uno stato di angoscia e di stress riconnesso anche al timore di nuove aggressioni.

Ricorda poi la Corte EDU di aver recentemente chiarito, nel caso Kurt, la portata e il contenuto dell’obbligazione positiva per lo Stato di prevenire il rischio della violenza ricorrente nel contesto delle violenze domestiche: a fronte della allegazione di violenza domestica le autorità devono reagire immediatamente, procedendo a una identificazione autonoma ed esaustiva del rischio per l’incolumità fisica delle vittime, adottando, se del caso, misure di protezione adeguate e proporzionate alla situazione.

Nella sentenza in esame la Corte Edu ritorna poi sul tema dell’effettività della tutela delle vittime di violenza domestica osservando che, mentre da un punto di vista generale, il quadro giuridico italiano sarebbe stato in grado di fornire protezione adeguata contro atti di violenza, e che le misure giuridiche e operative disponibili offrivano opzioni adeguate e proporzionate in considerazione del livello di rischio nel caso di specie, in concreto, mentre i carabinieri hanno reagito celermente a fronte delle denunce presentate, e sono intervenuti in occasione degli episodi violenti, i Pubblici Ministeri, più volte informati dei fatti, non hanno chiesto al G.I.P. il provvedimento cautelare proposto dai carabinieri, e non hanno svolto un'indagine rapida ed efficace, dato che a sette anni dai fatti il procedimento è ancora pendente in primo grado per l'episodio del 20 novembre 2015; l'indagine sui fatti denunciati tra il 2016 e il 2017 è ancora pendente e nessuna indagine, invece, sarebbe stata svolta a seguito dei maltrattamenti denunciati dai servizi sociali nel 2018.

L'articolo 3 della Convenzione impone agli Stati l'obbligo di svolgere un'indagine efficace su tutti gli atti di violenza domestica; per essere efficace, l’indagine deve essere tempestiva e approfondita, il che richiede un rapido esame del caso.

La Corte rammenta, sotto tale specifico profilo, che le lungaggini delle indagini rischiano non solo di comprometterne l’esito, e che l’eccessivo decorso del tempo compromette l’assicurazione delle prove; l’apparenza di una mancanza di diligenza in capo all’autorità inquirente, getta un’ombra sull’impegno profuso nella conduzione delle indagini, perpetuando la sofferenza dei denuncianti.

La tutela offerta dal diritto interno, oltre ad esistere in teoria, deve anche funzionare efficacemente nella pratica. Il principio di effettività implica che le autorità giudiziarie nazionali non lascino impunite le sofferenze fisiche o psicologiche inflitte.

La Corte ritiene inoltre che, nel trattamento giudiziario dei casi di violenza contro le donne, spetti alle autorità nazionali tenere conto della situazione di precarietà e di particolare vulnerabilità, morale, fisica e/o materiale, della vittima e valutare la situazione di conseguenza, il prima possibile. Nel caso di specie, la Corte non è convinta che le autorità abbiano compiuto un serio tentativo di avere un panorama completo della sequenza di episodi violenti in questione, come richiesto nei casi di violenza domestica.

Secondo i giudici di Strasburgo nella sentenza in commento, pertanto, la passività con cui le autorità inquirenti hanno indagato sulle accuse di maltrattamenti presentate dalla ricorrente, abbandonata a sé stessa in una situazione di violenza domestica, integra  la violazione dell’art. 3 CEDU, nei suoi profili sostanziali e processuali; avendo ritenuto sussistere detta violazione, la Corte non ritiene necessario esaminare i fatti nella prospettiva dell’art. 8 della CEDU (Diritto al rispetto della vita privata e familiare).

Roma, 27 giugno 2022

 

* commento a prima lettura a cura di Claudio Avesani, componente dell’Osservatorio Europa.

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