16/07/2021
Riforma Cartabia: la posizione dell'Unione Camere Penali Italiane

Dire no all’imputato a vita e difendere il diritto pieno al secondo grado di giudizio sono le priorità dei penalisti italiani. Sulla riduzione dei tempi del processo, occorre più coraggio sui riti alternativi, ma soprattutto investire in strutture, personale, magistrati. Il documento della Giunta dell’Unione Camere penali Italiane sulle proposte emendative del governo alla legge delega sui tempi del processo penale

Nelle scorse ore sono stati depositati gli emendamenti proposti dal Governo alla legge delega sulla riforma del processo penale. A fronte dell’articolato ufficiale, la Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane esprime le seguenti valutazioni.

Il testo in esame sconta un duplice limite. Il primo è quello di essere un innesto, ancorché migliorativo, inserito in un disegno di legge delega -licenziato dall’ex Ministro Alfonso Bonafede- sin dall’origine ispirato ad obiettivi di autentica controriforma di quel processo penale accusatorio da sempre mal digerito ed osteggiato da larga parte della magistratura italiana e dalle forze politiche di schietta ispirazione populista e giustizialista.

Il secondo è che esso è il frutto di un tentativo di mediazione all’interno di una maggioranza politica emergenziale che proprio sui temi della giustizia penale manifesta i contrasti più inconciliabili perché dichiaratamente identitari.

Le ambizioni riformatrici della cultura penalistica liberale non vedono certo qui realizzata una autentica e coerente riforma del processo penale, la quale esigerebbe un quadro politico e parlamentare ben diverso da quello attuale.

Del resto le prospettive riformatrici sono state in questo caso dichiaratamente circoscritte ad interventi volti a ridurre i tempi del processo penale.

L’impegno politico dei penalisti italiani è stato quello di dare il proprio contributo di idee e di proposte - come sempre elaborate insieme alla migliore e più accreditata dottrina penalistica - in modo che il perseguimento di tale obiettivo potesse essere raggiunto senza alcun pregiudizio per il diritto di difesa dei cittadini in un giusto processo.

Nel rispetto di tale impegno e di tale obiettivo politico, abbiamo senza esitazione individuato (ed indicato al Governo ed alla Commissione Lattanzi) due assolute priorità: il superamento del blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, e l’intangibilità delle regole dell’appello penale.

Quanto poi alle nostre proposte di riforma, formulate al Governo ed a tutte le forze parlamentari, per una ragionevole riduzione dei tempi del processo penale, esse sono così riassumibili: controllo giurisdizionale sui tempi di durata delle indagini; indicazione parlamentare delle priorità di esercizio dell’azione penale; rafforzamento della funzione di filtro della udienza preliminare; forte potenziamento dei riti alternativi e delle altre forme di soluzione negoziale del processo; rafforzamento del sistema delle pene alternative.

Le due priorità da noi indicate appaiono nel complesso recepite dagli emendamenti governativi.

La introduzione della prescrizione processuale dopo la sentenza di primo grado, con conseguente improcedibilità dell’azione penale in caso di mancata celebrazione dei giudizi di impugnazione, è certamente demolitiva delle stesse premesse logiche della riforma Bonafede, il cui drastico superamento – ora imposto anche da inequivoche statuizioni della stessa Corte Costituzionale- non può che essere apprezzato, rappresentando l’indubbio coronamento di oltre tre anni di lotta politica dei penalisti italiani. La prima proposta della Commissione Lattanzi, modellata -in senso per di più migliorativo- sulla riforma Orlando, sarebbe stata a nostro avviso preferibile, ma l’obiettivo politico è tuttavia inequivocabilmente raggiunto.

Del pari, va nel complesso accolto con soddisfazione l’abbandono dell’idea, da sempre propugnata dalla magistratura italiana ed in un primo momento fatta propria dalla bozza Lattanzi, di trasformare l’appello penale in un giudizio cosiddetto “a critica vincolata”, così trasfigurandolo da giudizio sul fatto a giudizio sull’atto. Sebbene la delega sulla richiesta specificità dei motivi meriti a nostro avviso una decisa rivisitazione idonea a risolvere residue ambiguità, occorre riconoscere che si tratta di un risultato di inequivoco valore politico, seppure evidentemente compensato con il corrispondente abbandono della idea di reintrodurre il divieto di appello del Pubblico Ministero.

Quanto invece alle proposte da noi caldeggiate per raggiungere l’obiettivo, che abbiamo sempre condiviso, di una indispensabile riduzione dei tempi di definizione dei processi penali nel nostro Paese, il testo ad oggi licenziato dal Governo appare segnato da più di un ridimensionamento, anche rispetto a quanto invece recepito dalla bozza Lattanzi, che a nostro avviso indebolisce la complessiva efficacia dell’intervento riformatore.

Ciò vale in particolare per il forte arretramento sulla riforma sia dei riti alternativi, sia della udienza preliminare. Sfugge la ragione politica di una simile retromarcia su quelle che, a nostro avviso, avrebbero costituito le aree di intervento più concretamente efficaci nella prospettiva della riduzione dei tempi del processo. Auspichiamo vivamente, sul punto, un forte ripensamento da parte della maggioranza parlamentare e di governo.

Occorre tuttavia ribadire, in conclusione, che la strada maestra per ridurre con efficacia i tempi del processo penale senza pregiudizi per il diritto di difesa dei cittadini è e resta quella di robusti investimenti per assicurare al Paese più magistrati, più personale amministrativo, più digitalizzazione. I fondi europei non devono costituire il pretesto per riscrivere le strutture portanti del giusto processo in danno dei diritti del cittadino, ma devono invece essere lo strumento per finalmente adeguare gli uffici giudiziari a quegli standard di efficienza ed operatività il cui gravissimo deficit costituisce la vera e decisiva ragione del default della giustizia nel nostro Paese.

******

Così definite le valutazioni politiche d’insieme sul complesso degli emendamenti governativi alla legge delega, è qui di seguito sviluppato l’esame dei più significativi emendamenti governativi.

Videoregistrazioni. Con l’art. 2 quater dell’emendamento si stabilisce il principio secondo il quale l’interrogatorio della persona sottoposta ad indagini e l’atto di assunzione delle dichiarazioni della persona informata sui fatti debbano essere videoregistrati. La proposta governativa, da salutare con favore, sconta però il limite di non essere assistita da sanzione processuale ed anzi di prevedere una deroga per la «contingente indisponibilità degli strumenti necessari o degli ausiliari tecnici». E’ auspicabile una modifica della delega che fissi il valore precettivo della previsione normativa.

Il processo penale telematico. Gli emendamenti in tema di digitalizzazione e di processo penale telematico, sia per quanto attiene al deposito degli atti sia per le notificazioni, accolgono la richiesta dell’Avvocatura di una entrata a regime graduale, che preveda anche discipline transitorie al fine di consentire l’adeguamento della macchina processuale ai nuovi strumenti e comunque rimedi per le ipotesi di malfunzionamento del sistema.

La vittima di reato. I punti di delega relativi alla figura della vittima di reato (artt. 9 bis e 14 bis) si limitano a proporre una estensione della operatività delle norme introdotte con la l. n. 69/2019 (cd. Codice rosso). Il Governo ha di fatto abbandonato le opportune limitazioni alla costituzione di parte civile proposte dalla Commissione presieduta da Giorgio Lattanzi, che avrebbero avuto il merito di chiarire prerogative e ruoli dei soggetti portatori di interesse, sovente ammessi dalla giurisprudenza con il ruolo di parti e dunque destinati a definire una sostanziale modifica dei termini della dialettica processuale.

 

La giustizia riparativa e l’art. 131 bis c.p. I punti di delega sono generici. È sostanzialmente rinviata alla fase di attuazione della delega l’individuazione dell’esatto portato della nuova disciplina.

Tempi delle indagini e criteri di selezione. Gli emendamenti governativi al progetto di riforma correggono le storture più evidenti che il precedente Esecutivo aveva prospettato, abbandonando ipotesi di responsabilità disciplinare prive di conseguenze nel singolo processo e disegnando un rafforzamento del controllo giurisdizionale sui periodi di stasi del procedimento. Finalmente è accolta l’ipotesi di controllo sul tempo della iscrizione e la sua eventuale retrodatazione da parte del Giudice.

Pure positiva, sebben indebolita rispetto alla originaria previsione della bozza Lattanzi, appare la delega relativa alla previsione parlamentare della individuazione dei criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale. Il ruolo comunque riconosciuto alle Procure della Repubblica rischia però di rendere solo formale l’indicazione del Legislatore. Dovrà il Parlamento riuscire ad individuare parametri cogenti e non generici.

Udienza preliminare e richiesta di archiviazione. La modifica proposta dal Governo all’art. 3, lett. i bis non si distanzia di molto dalle previsioni della riforma dell’allora Ministro Bonafede, sia pure migliorando l’attuale assetto. Mentre la Commissione Lattanzi proponeva la definitiva adozione di un giudizio diagnostico per la sentenza di non luogo a procedere: «[…] laddove emerga che gli elementi acquisiti non sono tali da determinare la condanna», il Governo mantiene ferma la prospettazione di un giudizio prognostico: «[…] quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna». Ciò rischia di mortificare ancora il ruolo di filtro dell’udienza preliminare.  

Riti speciali. Assai deludente l’intervento sui riti speciali: addirittura, per alcuni aspetti, ancor più limitato il ricorso al patteggiamento rispetto alle previsioni della riforma Bonafede, che innalzava sino ad 8 anni il limite della pena applicabile. Deve tuttavia essere salutata con favore la rimodulazione delle ostatività e la riduzione degli effetti penali della sentenza di applicazione della pena.

Drastico il ridimensionamento della originaria idea di potenziare il giudizio abbreviato condizionato, che sostanzialmente riporta la regola per la sua ammissione all’attuale e del tutto esiziale criterio di “economicità” del rito speciale richiesto, così vanificando le comuni indicazioni provenienti da Magistratura e Avvocatura in sede di consultazioni, che avevano proposto per l’ammissione del rito il criterio della decisività e della pertinenza della prova indicata.

Udienza “predibattimentale”. La previsione di un’udienza “filtro”, come sottolineato da sempre dall’Avvocatura penale, rischia di appesantire, invece che sveltire, i meccanismi processuali.

Il dibattimento. Da segnalare la correzione di rotta rispetto alla riforma Bonafede in tema di lettura degli atti, operata recuperando le indicazioni della sentenza della Corte Costituzionale n. 132/2019 e non inerpicandosi sulla strada individuata dal precedente governo di indiscriminata estensione della regola dell’art. 190 bis c.p.p. È soluzione comunque da noi non condivisa perché incompatibile con la natura accusatoria del rito, ma che quantomeno ferma il tentativo di rendere sempre utilizzabili le prove precedentemente raccolte in caso di mutamento del collegio giudicante.

Positiva invece la limitazione della funzione attribuita alla relazione illustrativa delle richieste di prova per il preciso richiamo ai parametri di cui all’art. 190 c.p.p.

Impugnazioni. Fermo l’apprezzamento per l’abbandono della originaria idea demolitiva dell’appello come secondo giudizio sul fatto, l’ipotesi di riforma governativa esige tuttavia, a nostro avviso, un ulteriore ripensamento . Da un lato, non può non sottolinearsi come siano superate le velleità della proposta Bonafede sulle modalità di smaltimento dell’arretrato e sul ricorso a procedure semplificate nel caso di declaratoria di inammissibilità. Debbono però essere stigmatizzate le residue proposte che mirano ad ostacolare l’accesso al giudizio di appello.

Tre le censure che solleviamo sul punto:

 Il previsto mandato specifico acquisito dopo la sentenza di condanna (artt. 2 ter, lett. h) e 7, lett. a)) unitamente alla nuova elezione di domicilio per il grado, previste a pena di inammissibilità. Si tratta di una norma ispirata dall’evidente obiettivo di creare una pretestuosa complicazione nella proposizione della impugnazione per falcidiare il numero degli appelli. Norma particolarmente inaccettabile, se si pensa che essa inciderà soprattutto sugli imputati assistiti dal difensore di ufficio, cioè sui soggetti socialmente più deboli che hanno maggiore difficoltà a mantenere rapporti di comunicazione con il difensore durante e soprattutto dopo la celebrazione del processo di primo grado.
La previsione di cui all’art. 7, lett. h bis): «prevedere la inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità dei motivi, quando nell’atto manchi la puntuale ed esplicita enunciazione dei rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto e di diritto espresse nel provvedimento impugnato». Pur ispirato ad approdi giurisprudenziali già consolidati, esso -così formulato- lascia margini a pericolose ambiguità idonee a riproporre (in sede di decreti delegati) il tentativo di trasfigurazione dell’appello in giudizio sull’atto e non sul fatto.

Le esigenze di specificità dell’atto di appello sono già ben delineate nel vigente codice di rito, dopo la recente riforma Orlando dell’art. 581 lett. D) c.p.p. Un nuovo intervento, a nemmeno tre anni di distanza da quella specifica riforma, non risponde a nessuna plausibile e razionale giustificazione.

È qui dunque necessario l’impegno delle forze parlamentari che condividono i principi del diritto penale liberale e del giusto processo per un subemendamento, anche seccamente soppressivo, della delega in esame.

Non condivisibile è la previsione che consentirebbe di procedere senza la rinnovazione del dibattimento nel caso di appello del Pubblico Ministero quando la prova dichiarativa non sia stata raccolta in udienza.

L’estensione delle procedure semplificate per la declaratoria di inammissibilità nel giudizio di Cassazione anche per la ipotesi di manifesta infondatezza costituisce limitazione del diritto di difesa in un contesto nel quale il giudizio di inammissibilità già colpisce oltre il 70% dei ricorsi proposti.

Prescrizione. La soluzione individuata per definitivamente superare la sciagurata abolizione della disciplina della prescrizione dopo il giudizio di primo grado poteva essere, come già detto, più lineare, mantenendosi nell’area della prescrizione sostanziale.

Certamente si rendono necessari interventi emendativi per evitare soluzioni paradossali come quelle per le quali una causa di improcedibilità dell’azione possa travolgere non tanto l’atto proprio dell’Ufficio di accusa, quanto la stessa sentenza di assoluzione.

Cedimenti alle logiche del giustizialismo sono poi rappresentati dalle preclusioni alla operatività del nuovo meccanismo (reati contro la Pubblica amministrazione).

 

L’Unione delle Camere Penali Italiane ha contribuito alla predisposizione di numerosi emendamenti al progetto di delega Bonafede, che rappresentano un punto di riferimento nel dibattito parlamentare per le parti non oggetto del nuovo intervento governativo e continua ad essere protagonista del confronto con le forze parlamentari per l’individuazione delle ulteriori modifiche per contenere i tempi del processo senza mortificare le garanzie del diritto di difesa.

Roma, 16 luglio 2021

La Giunta

 DOWNLOAD