22/03/2021
Archiviazione per prescrizione a causa dell'inerzia del pubblico ministero: per la corte di Strasburgo è violazione dei diritti della persona offesa all'equo processo e ad un ricorso effettivo per l'inaccessibilità della Legge Pinto

L’Osservatorio Europa UCPI segnala per le importanti ripercussioni sul sistema nazionale, la sentenza resa il 18 marzo 2021 dalla Prima Sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso Petrella c. Italia (ric. n. 24340/07) che ha accertato la violazione dell’art. 6 § 1 CEDU sull’equo processo, nelle sue declinazioni della durata ragionevole e dell’accesso al tribunale, e dell’art. 13 CEDU sull’assenza di un rimedio interno effettivo, in relazione al caso di un procedimento penale archiviato per intervenuta prescrizione del reato dovuta al fatto che le indagini preliminari si erano protratte per circa cinque anni e mezzo senza che fossero svolte attività da parte dell’Autorità inquirente.
 
Si ringraziano per la stesura del documento con le considerazioni in prima lettura gli Avv.ti Amedeo Barletta, Federico Cappelletti e Marina Silvia Mori dell’Osservatorio Europa UCPI.
 

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con sentenza del 18 marzo 2021 nel caso Petrella c. Italia (ric. n. 24340/07) ha dichiarato: all'unanimità, una violazione dell'articolo 6 (diritto a un equo processo entro un termine ragionevole) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo; con cinque voti contro due, una violazione dell'articolo 6 (diritto di accesso a un tribunale) in quanto il ricorrente era stato privato dell'accesso a un tribunale, e all'unanimità una violazione dell'articolo 13 (diritto a un ricorso effettivo). Il caso riguardava la durata delle indagini preliminari nell'ambito di un procedimento penale avviato sulla base di una denuncia per diffamazione aggravata a mezzo stampa da parte del ricorrente, la mancanza di un rimedio efficace rispetto alla durata del procedimento e l’archiviazione di tale procedimento a causa dell’intervenuta prescrizione. La Corte ha constatato in particolare che le indagini preliminari prima dell'archiviazione erano durate circa cinque anni e mezzo. Tale durata eccessiva aveva violato il requisito del "tempo ragionevole". Solo a causa del ritardo delle autorità giudiziarie e del fatto che le accuse erano cadute in prescrizione il ricorrente non aveva potuto costituirsi parte civile ed ottenere una decisione sulla richiesta di risarcimento dei danni in sede penale. Il comportamento negligente delle autorità lo aveva, quindi, privato della prospettiva di veder esaminata la sua domanda civile nell’ambito del tipo di procedimento che aveva scelto, come previsto dal diritto interno. La Corte ha ribadito che un ricorrente non può essere obbligato ad adire il tribunale civile per ottenere il risarcimento dei danni dopo che un procedimento penale, nell’ambito del quale poteva essere esercitata l’azione civile, si è concluso con l’archiviazione per prescrizione del reato per causa ascrivibile alle autorità. Infine, poiché il rimedio di cui alla Legge "Pinto" (L. 89 del 2001) non può essere azionato dalle vittime che non hanno potuto costituirsi parte civile nel procedimento penale, la Corte ha constatato che nel diritto interno non esisteva alcun rimedio con cui il ricorrente avrebbe potuto lamentarsi della durata del procedimento.

Questi i fatti principali. Il ricorrente, oltre ad esercitare la professione di avvocato, all'epoca dell’occorso era presidente della società calcistica "Casertana".  Tra il 22 e il 25 luglio 2001 è stato accusato di gravi reati di frode e corruzione in articoli pubblicati sul Corriere di Caserta insieme alla sua foto. Il 28 luglio 2001 ha sporto denuncia per diffamazione aggravata a mezzo stampa, in quanto gli articoli avevano leso il suo onore e la sua reputazione.  Nella sua denuncia ha precisato che intendeva costituirsi parte civile e chiedere dieci miliardi di lire (circa cinque milioni di euro) di danni. Il 10 settembre 2001 il procedimento è stato iscritto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno. Il 9 novembre 2006 il Pubblico Ministero ha presentato richiesta di archiviazione sul presupposto che le accuse erano prescritte. Il 17 gennaio 2007 il Giudice per le Indagini Preliminari di Salerno ha archiviato il procedimento.

Con ricorso presentato alla Corte europea dei diritti dell'uomo il 1 giugno 2007, il ricorrente, facendo riferimento, in particolare, all'articolo 6 § 1 (diritto a un processo equo entro un termine ragionevole / mancanza di accesso a un tribunale) e all'articolo 13 (diritto a un ricorso effettivo), lamentava l'eccessiva durata del procedimento penale, sostenendo che, archiviandolo, le autorità gli avevano impedito di avere accesso a un tribunale. Egli lamentava anche l'inefficacia del rimedio "Pinto", secondo il quale una vittima che non si era costituita parte civile non poteva beneficiare di tale rimedio.

Con riferimento alla dedotta violazione dell’articolo 6 § 1 CEDU, la Corte ha osservato che il lasso temporale da prendere in considerazione si dipanava dal 28 luglio 2001, data in cui il ricorrente aveva presentato la sua denuncia, fino al 17 gennaio 2007, data del provvedimento di archiviazione. Tale periodo era durato circa cinque anni e sei mesi solo per la fase delle indagini preliminari.

Il caso, inoltre, non era particolarmente complesso e, durante il periodo considerato, non aveva avuto luogo alcuna attività investigativa.

Il Governo, peraltro, non ha presentato alcun argomento per giustificare la necessità di prolungare le indagini per una tale durata.

È stata, quindi, riscontrata una violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione a causa dell'eccessiva durata del procedimento che non ha soddisfatto il requisito del "tempo ragionevole".

La Corte ha, poi, fatto riferimento a precedenti in cui ha riscontrato una violazione dell'articolo 6 della Convenzione quando l'archiviazione del procedimento penale e il mancato esame di una pretesa civile erano dovuti a circostanze che potevano essere attribuite principalmente alle autorità giudiziarie, in particolare a ritardi procedurali eccessivi che hanno causato la prescrizione del reato. Il ricorrente, secondo i Giudici di Strasburgo, si era avvalso dei diritti e delle prerogative che il diritto interno gli riconosceva nell'ambito del procedimento penale e avrebbe quindi potuto, in sede di udienza preliminare, costituirsi parte civile. Solo a causa dei ritardi nella trattazione del caso da parte delle autorità giudiziarie e della conseguente archiviazione del procedimento per prescrizione, non ha potuto costituirsi parte civile per chiedere il risarcimento dei danni ed ottenere una decisione su tale richiesta da parte del giudice penale. La Corte ha concluso che tale comportamento negligente da parte delle autorità aveva privato il ricorrente della prospettiva di formulare la richiesta di risarcimento dei danni nell’ambito del tipo di procedimento che aveva scelto, come previsto dal diritto interno. Secondo la consolidata giurisprudenza di Strasburgo un ricorrente non può essere obbligato a intentare una nuova azione in sede civile, allo stesso scopo di accertare la responsabilità civile, quando il procedimento penale in grado di affrontare il reclamo è stato archiviato per intervenuta prescrizione del reato a causa delle autorità. Tale azione comporterebbe la necessità di raccogliere ex novo le prove da parte del ricorrente, di tal che stabilire un'eventuale responsabilità potrebbe rivelarsi estremamente difficile a distanza di così tanto tempo dall'accaduto. Vi è stata, pertanto, una violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione a causa della mancata possibilità di accesso a un tribunale.

Con riferimento alla dedotta violazione dell’articolo 13 CEDU, la Corte ha osservato che i principi della Legge “Pinto" e il diritto interno pertinente hanno rivelato come tale rimedio non sia accessibile dalle persone offese che non si siano costituite parte civile nel procedimento penale. Ha, quindi, constatato una violazione dell'articolo 13 della Convenzione per il fatto che il diritto interno non prevedeva alcun rimedio che permettesse al ricorrente di far valere il suo diritto vedere il suo caso trattato entro un termine ragionevole ai sensi dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.

A titolo di equa soddisfazione la Corte ha ritenuto che l'Italia debba corrispondere al ricorrente 5.200 euro per il danno non patrimoniale e 2.000 euro per i costi e le spese.

I giudici Wojtyczek e Sabato hanno espresso ciascuno un'opinione parzialmente dissenziente con riferimento all’accertata violazione dell’art. 6 § 1 CEDU in relazione alla mancata possibilità di accesso ad un tribunale. 

Al riguardo si osserva, in prima lettura, come la Corte di Strasburgo, dopo quasi quattordici anni dall’introduzione del ricorso, accertando, in particolar modo ed all’unanimità, la violazione dell’articolo 13 CEDU, abbia certificato l’illegittimità al metro convenzionale dell’esclusione dell’azionabilità della Legge “Pinto” da parte della persona offesa danneggiata dal reato che non abbia avuto modo di costituirsi parte civile a causa dell’archiviazione del procedimento per intervenuta prescrizione del reato dovuta all’inerzia dell’Autorità inquirente.

Ciò, peraltro, in aperto contrasto con l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 249 del 2020 che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2 bis, della L. 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile), inserito dall'art. 55, comma 1, lettera a), numero 2, del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del paese), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, nella parte in cui prevede che il processo penale si considera iniziato con l'assunzione della qualità di parte civile in capo alla persona offesa dal reato ai fini del computo della durata ragionevole, sollevata dalla Corte d’Appello di Firenze con riferimento all'art. 117, co. 1 della Costituzione, in relazione all'art. 6 della CEDU.

Ferma restando la possibilità per il Governo italiano di chiedere il referral alla Grande Camera, nel caso in cui questo non fosse concesso per insussistenza delle condizioni previste dall’art. 43, § 1 della Convenzione - ritenuto, quindi, che il caso non sollevi problemi gravi relativi all’interpretazione o all’applicazione della Convenzione o dei suoi Protocolli o comunque ponga una questione grave di carattere generale - non pare potersi dubitare dell’efficacia erga omnes della decisione che impone al Legislatore in prima battuta, e, in subordine, alla Autorità Giudiziaria italiani di porvi rimedio onde evitare il perpetuarsi della violazione e di riportare i diritti della persona offesa e danneggiata dal reato entro quello standard minimo di tutela accordato dalla CEDU.

L’Osservatorio Europa UCPI

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