28/09/2018
II conferenza internazionale denominata 'The Dark Side of the Moon' - Istanbul 7_10.09.2018

Nei giorni dal 7 al 10 settembre si è tenuta ad Istanbul la seconda conferenza internazionale denominata “The Dark Side of the Moon: la normalizzazione dello stato di emergenza e la situazione della giustizia in Turchia”. La conferenza era stata indetta dai maggiori ordini degli avvocati del paese e dall’Associazione degli Avvocati Progressisti (CHD) che in questi anni ha subito i maggiori attacchi dal Governo e però tenacemente resiste. Sarà una coincidenza, ma il giorno 10 al Tribunale di Istanbul iniziava un nuovo processo contro 22 avvocati del CHD. 

Il resconto dell'Avv. Ezio Menzione

La conferenza è stata molto interessante e il nostro osservatore è stato invitato a parlare per portare il saluto di UCPI, che non è comparsa fra gli aderenti sol perché la decisione di partecipare è venuta troppo tardi. Ma l’intervento di UCPI è stato accolto molto calorosamente, anche perché si riconosceva che dal 2013 la nostra organizzazione è sempre stata al fianco degli avvocati turchi, anche in momenti assai pericolosi.

FARE GLI AVVOCATI SOTTO ERDOGAN

Tempestivamente, alla vigilia di un processo che vede imputati 22 avvocati, è stata convocata ad Istanbul una conferenza internazionale sul diritto di difesa oggi in Turchia.

Ai primi di agosto scorso è stato revocato lo stato di emergenza imposto due anni fa, all’indomani del tentativo di colpo di stato. Ritorno alla normalità dunque? E magari anche cancellazione dei decreti (decreti, si badi, e non leggi, provvedimenti dunque mai passati per il parlamento) massimamente autoritari e repressivi? Niente affatto purtroppo.

A parte il fatto che ben prima dell’emergenza era iniziato l’attacco agli avvocati e al diritto di difesa - ci ricordiamo tutti la scena degli avvocati picchiati e trascinati fuori dal tribunale nel 2013, ai tempi di Gezi Park - il presidente ed il parlamento, pochi giorni prima della revoca dell’emergenza, avevano passato norme che preventivamente salvavano la sostanza di quasi tutti i decreti emergenziali: così il fermo e l’arresto senza possibilità di intervento del difensore è stato portato a 14 giorni consentendo così la pratica della tortura; così si è tenuta ferma la videoregistrazione dei colloqui fra difensore e imputato detenuto; così è stata ribadita l’impunità delle forze dell’ordine per i reati commessi durante o in occasione di manifestazioni. E’ specialmente l’ampliamento della videoconferenza in udienza, la cui decisione è rimessa al giudice, che sembra allarmare particolarmente i colleghi turchi. Né li consola il fatto che, per certi reati, in Italia, per esempio, la videoconferenza è prevista per legge e dunque non è possibile nemmeno tentare di convincere il giudice della sua inopportunità o illegittimità.

Nei due anni dell’emergenza 1485 avvocati sono stati e risultano tuttora indagati, di questi 520 sono finiti o sono tuttora in prigione e 79 sono stati già condannati in via definitiva, in genere con la solita accusa di terrorismo e dunque con pene pesanti. Numeri che spaventano o almeno intimidiscono.

Altrove, nel pubblico impiego, va anche peggio: 6.030 accademici licenziati o rimossi e solo 130 reintegrati a seguito di ricorso, indipendentemente dai 2.000 “Accademici per la Pace” che firmarono un appello per la cessazione delle violenze governative in Kurdistan nell’inverno 2016-2017 e per questo stanno subendo processi.

Eppure, il numero di avvocati sembra piccolo se comparato con i 50.000 studenti finiti in carcere, in genere sulla base di denunce anonime, confezionate dalla polizia.

Persino i magistrati (e i militari) sono stati rimossi a migliaia e alla rimozione consegue la confisca della pensione e dei beni personali e addirittura, in certi casi, quelli di famiglia. Nonché l’impossibilità di accedere a qualunque altro impiego pubblico o di recarsi all’estero. Ma è difficile anche un vero e proprio impiego privato, per il clima di sospetto che si è instaurato. Rimanendo ai giudici, ci dice una collega molto attenta, “non si salutano più tra loro nemmeno nei corridoi, per timore che un domani l’altro collega venga indagato. E tu pure sol perché eri suo amico”.

Ai difensori che sono o sono stati indagati può essere impedito di difendere in altri processi per reati simili (tipicamente, per reati di terrorismo): la decisione è rimessa alla magistratura. Il divieto non viene applicato molto spesso, ma costituisce una spada di Damocle sempre incombente.

Ampliando la visuale: tutti quelli che aspirano ad un posto pubblico sono sottoposti ad un “security check” e, anche se non sono in una “security list” per avere subito indagini, carcerazioni o condanne, basta essere stato segnalato anche in un remoto passato come partecipante ad una manifestazione studentesca per essere esclusi.

All’interno di questo clima si trovano ad operare i colleghi turchi: fra norme liberticide, sospetti, prigione. Eppure la conferenza di Istanbul, convocata dai Consigli dell’Ordine (Bar Association) delle maggiori città e dalla Associazione degli Avvocati Progressisti (CHD) falcidiata in questi anni, ha mostrato degli avvocati che non rinunciano ad operare per recuperare un minimo di legalità nelle pieghe di un processo che è processo solo di nome, anche se spesso si stenta oramai a rintracciarla. Convinti che sono gli avvocati ad essere colpiti, ma perché si vuole colpire il diritto alla difesa.

Come ha acutamente osservato Rasit Tukel, già presidente nazionale dell’ordine dei medici, oramai si assiste ad uno sdoppiamento della Costituzione: per alcuni cittadini, vale ogni diritto; per altri ogni diritto viene negato: la libertà di parola e di espressione, il diritto all’istruzione e al lavoro fino alle libertà in sé stessa. La differenza sta tutta fra chi è “reasonable citizen” e “unreasonable citizen”.

I colleghi hanno anche individuato due battaglie concrete da affrontare subito: quella contro le videoconferenze, che snaturano la larva di processo che sussiste nel paese, e quella per il diritto a ricostruire le associazioni degli avvocati, tutte (ma proprio tutte, eccetto i consigli dell’ordine) disciolte, e recuperare così un po’ della forza che solo l’agire all’unisono consentirà alla categoria di riprendersi.

Nel mentre discutevamo di ciò in conferenza, il 7 settembre altri 49 avvocati di Ankara sono stati indiziati per terrorismo, come al solito.

ALCUNI ALTRI SPUNTI

Tortura: soprattutto è invalso condurre i giovani arrestati in campagna a uno a uno e poi puntargli una pistola e simulare un colpo.

Pentiti: che vengono chiamati “cooperators” e, nel caso di arresti a decine di migliaia sono, ovviamente, essi stessi migliaia.

Isolamento: una volta c’era quasi solo il carcere di Imrani dove si praticava l’isolamento, oggi molti carceri sono attrezzati per questo.

Diritto allo studio: per i giovani detenuti, che avrebbero bisogno dei libri di studio per continuare i loro studi, ed invece possono accedere solo ai libri delle biblioteche interne del carcere.

Differenze fra emergenza ed emergenza: nell’emergenza che seguì il colpo di stato militare dei primi anni ’80 e che durò molti anni, i pubblici impiegati rimossi furono circa 5000; in questa emergenza seguita al tentativo di colpo di stato del 2016 e durata due anni, i rimossi sono stati 135.000.

Suicidi: fra coloro che hanno perso il lavoro per essere stati proscritti, in questi due anni di emergenza si contano 50 suicidi. Ma il numero è probabilmente molto più alto, data la ritrosia da parte delle famiglie ad indicare come suicidio la morte del congiunto.

Medici: sono talmente tanti i medici arrestati o sospesi dal lavoro o non ammessi al lavoro, che il sistema sanitario comincia a risentirne.

Lavoro nero e incidenti sul lavoro: non trovando alcuna altra possibilità di lavoro né potendo emigrare, di solito si presta lavoro nero. Da qui probabilmente il picco di 1200 incidenti sul lavoro nei primi 6 mesi dell’emergenza.

Sindacati: le dimostrazioni sindacali sono assolutamente vietate.

Opposizione: nonostante che l’opposizione abbia dato buona prova di se’ sia nel referendum che alle ultime elezioni, non sembra esserci pressione sociale di opposizione. I motivi:

divieto di dimostrazioni; chiusura o acquisto da parte dei filogovernativi (Cumurryiet) di giornali e reti televisive di opposizione e carcerazione di giornalisti;

pressione e censura sui social media;

Questione di costituzionalità: i decreti presidenziali sono consentiti durante l’emergenza; ma è dubbio che lo siano al di fuori di essa.

Professione: guardando la situazione dall’esterno, verrebbe da chiedersi che senso abbia continuare a coltivare i processi di, diciamo così, opposizione. Non solo quelli penali, ma anche quelli di lavoro o amministrativi contro le sospensioni o i licenziamenti. Eppure, una volta ancora, i colleghi turchi non sembrano vacillare, ma anzi si recano ogni mattina in Tribunale e cercano di fronteggiare gli arresti in massa (si badi che quelli che coltivano i processi politici sono un numero esiguo rispetto alle necessità, gli altri se ne guardano bene) sperando di cogliere piccole vittorie di legalità, ma quasi certi di ricevere sonore sconfitte

Consigli dell’Ordine o Bar Associations: ve ne sono di più sensibili ai temi politici e di meno. L’impressione è che più si va verso est e più sono attenti a questi temi. Diyarbakir, naturalmente, sta fra i primi; ma anche Ankara.

Istanbul sta molto dietro e Bursa per ultima.

 

Avv. Ezio Menzione

Progetto AVVOCATI MINACCIATI dell’UCPI

Settembre 2018

 

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