10/07/2018
Perché la solidarietà per fini umanitari non può essere un crimine

Considerazioni a margine della pronuncia del Consiglio Costituzionale francese nella vicenda di Cédric Herrou, l’agricoltore simbolo degli aiuti ai migranti sul confine tra Francia ed Italia.

Con pronuncia resa venerdì scorso, il Consiglio Costituzionale francese ha previsto, evocando per la prima volta nella sua storia "il principio di fratellanza", il divieto di repressione penale degli atti di aiuto al soggiorno di stranieri irregolari compiuti per scopi umanitari (con eccezione del reato di favoreggiamento all'ingresso).

Il Giudice delle Leggi d’oltralpe, nel caso riguardante Cédric Herrou, l’agricoltore divenuto il simbolo degli aiuti ai migranti sul confine tra Francia ed Italia, era stato investito l'11 maggio 2018 dalla Corte di Cassazione di una questione prioritaria di costituzionalità relativa alla valutazione relativa alla compatibilità con la Costituzione degli articoli L. 622-1 e L. 622-4 del CESEDA (Codice dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri e del diritto d’asilo), escludendo l’applicabilità delle richiamate norme nel caso di atti compiuti per fini umanitari e disinteressati.

Il Consiglio Costituzionale, pur stabilendo come il principio di fraternità dia origine alla libertà di aiutare gli altri per scopi umanitari, a prescindere dalla regolarità del loro soggiorno sul territorio nazionale, ha, altresì, sottolineato che, secondo la propria giurisprudenza costante, nessun principio o norma di valore costituzionale vale a garantire agli stranieri diritti generali e assoluti di accesso e di soggiorno sul territorio nazionale e che, inoltre, la lotta contro l'immigrazione clandestina rientra nella salvaguardia dell'ordine pubblico che è anch'esso un obiettivo di valore costituzionale.

La pronuncia del Consiglio Costituzionale transalpino ci induce alcune riflessioni. 

In primis, ci ricorda l’importanza centrale delle Corti Costituzionali per assicurare l’equilibrio dei poteri nell’ambito delle democrazie pluralistiche ed il bilanciamento tra i principi portati delle Carte nazionali: esse contribuiscono, infatti, a svolgere, attraverso l’autorità e l’efficacia riconosciute alle loro pronunce, una funzione fondamentale di razionalizzazione e di stabilizzazione degli ordinamenti costituzionali.

In secondo luogo, benché i Giudici francesi non ne facciano menzione, ci consente di rilevare come, in materia di immigrazione irregolare e della sua criminalizzazione, l’UE con la Direttiva 2002/90/CE del Consiglio del 28 novembre 2002 - richiamata dalla Direttiva 2002/946/GAI del Consiglio - volta a definire il favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegale abbia espressamente previsto la possibilità per gli Stati membri di non adottare sanzioni, applicando la legislazione e le prassi nazionali, con riferimento alle condotte di chi, intenzionalmente e con lo scopo di prestare assistenza umanitaria, aiuti una persona che non sia cittadino di uno Stato membro ad entrare o a transitare nel territorio di pertinenza in violazione della normativa interna relativa all'ingresso o al transito degli stranieri; mentre, è, in ogni caso, soggetto ad obbligo di repressione penale il comportamento di chi aiuti a scopo di lucro lo straniero irregolare a soggiornare nel territorio di uno Stato membro.

Da ultimo, e ferma restando la differenza ontologica tra le fattispecie di aiuto al soggiorno e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, non possiamo non evidenziare - a fronte della tensione che si registra in buona parte dell’opinione pubblica verso la diffusa ed indistinta criminalizzazione preventiva delle attività poste in essere dalle ONG impegnate nel Mediterrraneo - che la solidarietà per fini umanitari è scriminata non solo laddove si esplichi in presenza di un pericolo attuale e non altrimenti evitabile di naufragio, ma anche quando il Governo responsabile per la zona marittima di pertinenza per ricerca e salvataggio non sia in grado di offrire un luogo sicuro dove ospitare le persone soccorse, per tale dovendosi intendere quello in cui non possano essere soggette a pena di morte, tortura, trattamenti inumani e degradanti, o dove la loro vita o la loro libertà siano minacciate per motivi di razza, religione, nazionalità, orientamento sessuale, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per l’orientamento politico. E, alla luce di quanto detto, appare dirimente la circostanza - confermata da fonti governative e non, - che la Libia, allo stato, non è in grado di offrire ai migranti soccorsi un POS (place of safety) tale da assicurare il rispetto dei loro diritti fondamentali.

Roma, 10 luglio 2018

La Giunta

La Commissione per i rapporti con l’Avvocatura e le Istituzioni Internazionali