13/12/2017
Dall'elezione di domicilio forzata presso il difensore d'ufficio alla revoca forzata del difensore d'ufficio

Pubblichiamo un documento della Giunta e dell'Osservatorio Difesa d'Ufficio "Paola Rebecchi"

DALL’ELEZIONE DI DOMICILIO FORZATA PRESSO IL DIFENSORE D'UFFICIO

ALLA REVOCA FORZATA DEL DIFENSORE D'UFFICIO:

L’ETEROGENESI DEI FINI DELL’ART. 162 CO. 4-BIS C.P.P. AD OPERA DELLA QUOTIDIANA PRASSI GIUDIZIARIA.

 

Le continue segnalazioni provenienti da più parti d’Italia in relazione a casi di revoca, per unilaterale iniziativa della Polizia Giudiziaria, del difensore d’ufficio (designato tramite sistema informatizzato) a seguito del mancato assenso all’elezione di domicilio ex art. 162 co. 4-bis c.p.p. ci impongono di tornare nuovamente su questo tema di estrema attualità.

La introduzione, ad opera della cd. Riforma Orlando, del nuovo co. 4-bis all’art. 162 c.p.p. (che prevede l’inefficacia della elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, se non accompagnata dall’assenso del difensore domiciliatario), trova la sua origine nell’articolato elaborato da UCPI e CNF per la riforma della normativa in tema di difesa d’ufficio, poi in gran parte recepito nel Decreto legislativo 30 gennaio 2015 n. 6.

In particolare, nella proposta di modifica fatta propria dal CNF il 21 febbraio 2014 ed alla cui stesura aveva preso parte la “nostra” Paola Rebecchi[1], si prevedeva la introduzione di un co. 4-bis all’art. 161 così formulato: «Con l’invito a dichiarare o a eleggere domicilio la persona sottoposta alle indagini ovvero l’imputato sono invitati a nominare un difensore. Qualora la persona sottoposta alle indagini ovvero l’imputato siano privi di difensore, il giudice, il pubblico ministero o la polizia giudiziaria provvedono a nominare un difensore di ufficio ai sensi dell’art. 97, commi 2 e 3. In tal caso la dichiarazione o la elezione di domicilio presso il difensore deve essere, a pena di inefficacia, da questi espressamente accettata con atto scritto depositato al difensore presso l’autorità giudiziaria procedente».

Al di là della differente collocazione sistematica (“in coda” all’art. 161 anziché all’art. 162 c.p.p.), la proposta di riforma UCPI-CNF ricalca sostanzialmente la formulazione contenuta nella novella operata dalla Legge Orlando[2], ed è pertanto a tale nostra proposta che occorre fare riferimento per comprendere la genesi e quindi la ratio del nuovo co. 4-bis dell’art. 162 c.p.p.

Nei documenti allora elaborati dalla Commissione Difesa d’ufficio dell’Unione, si legge che «sempre nell’ottica di garantire la effettività della difesa di ufficio, è necessario affrontare una ulteriore problematica: la elezione di domicilio “forzata” di indagati/imputati, spesso senza fissa dimora, presso lo studio del difensore di ufficio. Questa prassi che dà vita al fenomeno della “falsa reperibilità” è senz’altro un’altra criticità da correggere proprio perché si abbatte direttamente sul diritto di difesa».

La norma, pertanto, ha una duplice ratio: da un lato, evitare il meccanismo della cd. falsa reperibilità (con ciò che comporta anche in relazione alla tematica della conoscenza del procedimento ex artt. 420-bis ss. c.p.p.) e, dall’altro, garantire la effettività del diritto di difesa, che passa anche attraverso un effettivo contatto tra difensore e indagato/imputato.

Questa è la (indiscutibile) ratio della nuova previsione codicistica, di cui occorre tener conto sia nel primo momento operativo (ed il riferimento è all’atto della nomina, da parte degli operatori di giustizia e, in particolare, della polizia giudiziaria) sia nei successivi sviluppi processuali (e l’invito qui ai difensori d’ufficio è di formulare ogni eccezioni preliminare possibile e diretta a rivendicare la rigorosa applicazione della nuova norma).

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Purtroppo, come già detto, da più Camere Penali territoriali sono giunte segnalazioni di gravi distorsioni applicative.

Il riferimento è, in particolare, alle prassi di taluni Uffici di rimuovere / revocare il difensore d’ufficio designato ai sensi dell’art. 97 c.p.p. il quale non presti l’assenso all’elezione di domicilio formulata dall’indagato / imputato.

In questo modo si giunge a sterilizzare ogni portata innovativa della norma, per di più a beneficio di difensori d’ufficio meno inclini ad ostacolare la -più che mai forzata- elezione di domicilio presso il proprio studio (e che sono un triste ricordo di quei difensori di fiducia dell’ufficio, contro cui per anni ci siamo battuti).

A fronte del mancato assenso del difensore d’ufficio domiciliatario, non si potrà che procedere alle notifiche secondo le modalità ordinarie di cui agli artt. 157 e ss. c.p.p. (ovvero, ricorrendone i presupposti, ad invitare l’indagato / imputato ad effettuare una nuova dichiarazione / elezione di domicilio ex art. 161 c.p.p.).

Mai, però, il mancato assenso può costituire presupposto di rimozione / revoca del difensore d’ufficio nominato secondo i meccanismi di legge, per di più ad opera della polizia giudiziaria, costituendo tale prassi una aperta e grave violazione del diritto di difesa e del sistema codicistico della difesa d’ufficio (oltre che l’esercizio, da parte della polizia giudiziaria, di un potere discrezionale che non le è riconosciuto da alcuna norma dell’ordinamento processuale).

Ci risulta che alcune Camere Penali territoriali siano già intervenute a fronte di tali gravi fatti con formali delibere trasmesse ai singoli Procuratori della Repubblica, che trovano ovviamente il nostro pieno ed incondizionato appoggio.

La preoccupazione del nostro Osservatorio è che tali prassi distorsive abbiano una diffusione ben maggiore di quella che risulta dalle segnalazioni formali sin qui giunte all’Unione: infatti in molte realtà territoriali la comunicazione della nomina al difensore d’ufficio designato ex art. 97 c.p.p. dall’ufficio centralizzato neppure avviene, cosicché non vi è alcuna forma di controllo in relazione ad ipotetiche successive revoche / sostituzioni da parte della polizia giudiziaria.

In altre parole, può accadere che la polizia giudiziaria, non riuscendo ad acquisire l’assenso all’elezione di domicilio (vuoi perché il difensore d’ufficio non vi acconsente, vuoi perché semplicemente non riesce a contattare il difensore), contatti l’ufficio centralizzato per chiedere la indicazione di un nuovo nominativo, senza che il precedente ed originario difensore d’ufficio abbia alcuna notizia di tale sostituzione.

Non sempre di tale illegittima e unilaterale iniziativa della polizia giudiziaria vi è traccia nel fascicolo processuale.

Proprio da questa constatazione nasce il rinnovo dell’invito alle Camere Penali territoriali ed ai singoli difensori d’ufficio a monitorare ogni distorsione applicativa della nuova norma, segnalando tali prassi devianti al nostro Osservatorio ed eventualmente anche con formali delibere ed interventi nei confronti delle Procure della Repubblica.

Non possiamo accettare che una norma, nata per segnare un ulteriore passo in avanti verso un pieno ed effettivo esercizio del diritto di difesa, si trasfiguri - in una vera e propria eterogenesi dei fini - addirittura in una nuova forma di attacco al diritto di difesa e di svilimento della figura del difensore d’ufficio.

 

Roma, 13 dicembre 2017

 

La Giunta

L’Osservatorio Difesa d’Ufficio “Paola Rebecchi”