26/11/2017
Nessuno deve ascoltare l'indagato e il suo legale

L'editoriale del Segretario Francesco Petrelli, su Il Tempo di oggi, in merito alle intercettazioni delle conversazioni tra avvocato e assistito.

È come se per risolvere il problema degli incendi boschivi si decidesse di radere al suolo le foreste. La tutela della riservatezza non può certo attuarsi attraverso una compressione del diritto di difesa, una elisione del contraddittorio nella selezione delle intercettazioni rilevanti a fini di prova. La soluzione del problema esige risposte equilibrate e rimedi proporzionati che non stravolgano la logica del sistema processuale all’interno del quale lo strumento delle intercettazioni è inserito. Se occorre selezionare un materiale intercettativo troppo vasto, bisogna che ai fini di questa operazione la difesa ed il pubblico ministero si confrontino ad armi pari davanti ad un giudice terzo, e non che l’avvocato, sommerso da materiali (che spesso consistono in migliaia e migliaia di registrazioni) dei quali non può chiedere copia (in virtù di una illogica presunzione di responsabilità) sia costretto nel giro di pochi giorni a interloquire su rilevanza o irrilevanza degli stessi a fini difensivi. Se, inoltre, occorre garantire, come la legge si prefigge di fare, la riservatezza delle conversazioni fra soggetti terzi occasionalmente coinvolti nell’ambito delle intercettazioni, occorre tenere conto della qualità degli interlocutori. Se, difatti, la conversazione coinvolge un indagato ed il proprio difensore, la riservatezza di quel colloquio (che trova ulteriore tutela nella costituzione, trattandosi di un esercizio del diritto di difesa), non può che essere tutelata attraverso un radicale “divieto di ascolto”. D’altronde che gli stessi competitors processuali del difensore (polizia giudiziaria e pubblico ministero) non possano annotare o verbalizzare il contenuto di quei colloqui, poco importa, se gli è comunque consentito di ascoltarli e trarne indebite informazioni sulle strategie difensive. Se anche occorre stare al passo con l’incedere di una criminalità dai metodi affinati, non possono certo accantonarsi i criteri cardine di uno stato costituzionale di diritto, nel quale diritto alla riservatezza ed alla tutela del domicilio costituiscono pilastri fondamentali, consentendo che per i reati contro la pubblica amministrazione si adottino le medesime procedure che secondo i criteri del cosiddetto “doppio binario” si applicano alla criminalità organizzata.   Se si tratta, insomma, di ridurre il materiale intercettativo “circolante” al fine di evitare indebite diffusioni di dati concernenti la vita privata dei cittadini coperti dalla privacy, bisognerebbe leggere il fenomeno in termini anche diversi, ponendosi ad esempio una domanda circa i dati di recente diffusi dal Ministero stesso della Giustizia, secondo i quali negli ultimi dieci anni le intercettazioni sono aumentate dell’80 %. Questo significa che ci troviamo in un sistema drogato che rivela una sostanziale incapacità a sviluppare strategie investigative alternative e che utilizza sempre più lo strumento intercettativo come sonda perlustrativa volta alla ricerca dei reati, piuttosto che come strumento integrativo da utilizzarsi solo a fronte di stringenti parametri normativi e di assoluta necessità. Riducendo così a monte il diluvio intercettativo.  

Francesco Petrelli

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