26/11/2017
Azione penale: non basta la supercircolare.

L'editoriale del Segretario Francesco Petrelli, su Il Mattino di oggi, in merito alla circolare del CSM sulle priorità investigative e sull'obbligatorietà dell'azione penale.

Che il vice Presidente Legnini abbia colto e proclamato pubblicamente l’ipocrisia di un sistema che da un lato porge un ossequio formale al principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale, e dall’altro quotidianamente esercita il suo contrario, è evidentemente un fatto positivo. Ma quella sottesa all’intervento del CSM non è, tuttavia una questione di costume, che si possa risolvere semplicemente con un buffetto metaforico a coloro che istituzionalmente si sono resi autori di comportamenti non politically correct. L’ipocrisia, in questo caso, è solo un epifenomeno, un dato francamente trascurabile,  sotto il quale sta invece un problema di natura sistemica che coinvolge ben altre questioni. Quando l’UCPI ha messo in campo la sua proposta di riforma costituzionale per la separazione delle carriere dei magistrati, aveva bene a mente che un sistema processuale accusatorio, dotato di un giudice terzo e di un pubblico ministero indipendente, efficiente e moderno come quella riforma vuole realizzare, non avrebbe potuto entrare a regime senza una modifica costituzionale della obbligatorietà dell’azione penale. Ma è proprio qui, sul vertice dove la questione ordinamentale si incrocia con quella costituzionale, che emerge la distanza della visione manifestata dalla iniziativa del CSM dal punto nevralgico del problema. Pensare, infatti, che quella da risolvere sia solo una questione organizzativa, nella quale una supercircolare volta alla razionalizzazione dei “modelli gestionali” rende omogenee sull’intero territorio nazionale le priorità investigative e processuali dettando criteri generali alle singole Procure, significherebbe trasformare la nostra ipocrisia in miopia. Significherebbe non vedere che il problema non è quello della possibile ed inevitabile modulazione delle scelte prioritarie, imposta da un lato dalla limitatezza delle risorse, e dall’altro dalla necessità di garantire a tutti i cittadini un giusto processo, ma è quello del soggetto legittimato ad elaborarla e ad attuarla. Solo una legge, difatti, può eventualmente operare una declinazione speciale dell’obbligatorietà dell’azione penale. Come più volte abbiamo avuto modo di sottolineare, il CSM è andato tuttavia progressivamente assumendo un ruolo che va ben oltre il governo autonomo e la organizzazione degli uffici giudiziari, assumendo spesso iniziative di vera e propria promozione legislativa. Come è stato correttamente sottolineato su queste pagine, dal professor Di Federico, l’iniziativa del CSM assume in questo caso anche le forme tipiche dell’atto legislativo, quasi ad autolegittimarne anche metodi e contenuti. L’obbligatorietà dell’azione penale, come tutti sanno, è oramai divenuta soltanto il simulacro di un principio costituzionale, il cui declino è dovuto anche ad una drammatica pan-penalizzazione che ha determinato l’inevitabilità delle scelte discrezionali. Scelte che tuttavia da anni vengono compiute dai singoli magistrati  o dalle stesse Procure secondo criteri e parametri del tutto discrezionali e disomogenei. Questa prassi distorta che invadeva in modo disorganico il campo della responsabilità politica, sostituendo le singole Procure al Legislatore, viene ora messa a sistema dal CSM, che autorevolmente si contrappone al Parlamento, il quale in uno Stato di diritto, ed in base ad elementari principi di separazione dei poteri, dovrebbe invece essere l’unico a poter regolare il sistema penale, decidendo di volta in volta, in base a trasparenti criteri di politica giudiziaria, a quali categorie di reati dare eventualmente precedenza. La riforma costituzionale di iniziativa popolare depositata dall’UCPI alla Camera il mese scorso, intende proprio restituire al Parlamento la decisione in ordine ai modi di regolazione dell’obbligatorietà, declinandone la obbligatorietà nei “modi previsti dalla legge”. Resta ora alla politica decidere quale modello adottare: quello delle circolari che rivedono la Costituzione o quello delle leggi che restituiscono significato alla Costituzione e centralità al Parlamento.  

Francesco Petrelli

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