18/08/2017
La vicenda Romeo e la presunzione di colpevolezza.

L'editoriale del Segretario Francesco Petrelli, pubblicato oggi su Il Tempo

La sesta sezione della Corte di Cassazione era stata inusitatamente severa nel censurare le motivazioni dei provvedimenti che avevano condotto e mantenuto in carcere l’imprenditore Alfredo Romeo, affermando in particolare che l’ipotesi investigativa che individuava un non meglio definito “sistema Romeo”, sul quale si sarebbe incardinato il relativo patto associativo e la relativa “infiltrazione corruttiva”, non trovava negli atti di indagine alcun riscontro. Una affermazione che lasciava evidentemente intendere una serie di implicite considerazioni in ordine al modo in cui il giudice delle indagini preliminari avesse valutato gli indizi prospettatigli dal pubblico ministero e di come quel provvedimento cautelare fosse stato a sua volta controllato una prima volta dal tribunale per il riesame. Non si conoscono ancora le motivazioni con le quali il tribunale per il riesame di Roma, investito del giudizio di rinvio dalla Cassazione, ha annullato l’ordinanza che aveva condotto in carcere l’imprenditore nel marzo scorso, e quindi non possiamo dire in quale misura il giudice del controllo abbia ritenuto di incidere sulla questione relativa agli indizi sui quali fondavano le originarie incolpazioni, ma in ogni caso possiamo certamente dire che è stata esclusa la sussistenza di qualsivoglia esigenza cautelare che potesse giustificare una qualsiasi misura cautelare a suo carico. Un dato, questo, che si accompagna anche a quello della revoca, intervenuta una settimana fa, delle misure cautelari applicate alla azienda nell’ambito della ritenuta responsabilità amministrativa dell’ente. Un quadro che già da solo, in attesa di leggere le argomentazioni del giudice romano, consente di svolgere qualche considerazione sulla complessiva inefficienza del sistema e sui destini di tanti meno noti “Romeo” le cui vicende giudiziarie raramente giungono all’onore della cronaca. Non vale la pena di rammentare in questa sede le riforme del codice di procedura in materia di misure cautelari volte tutte a limitare l’uso delle cautele ed a indurre i giudici a valutare con particolare rigore la sussistenza effettiva delle esigenze cautelari. Nessuna di queste riforme ha mai dato i frutti sperati. Con alcune gravi deformazioni di sistema. Il numero dei detenuti in attesa di giudizio continua ad essere eccessivo (34,9 %), con evidenti conseguenze in termini di pressione sulle condizioni della intera popolazione carceraria. Maggiore è il numero delle custodie cautelari in carcere e maggiore è il rischio delle carcerazioni ingiuste: 25.000 sono i cittadini ingiustamente detenuti che sino ad oggi hanno visto riconosciuto il loro diritto ad un equo indennizzo. Dal 1992 ad oggi sono 630 i milioni di euro versati dallo Stato a questo titolo. Perché, nonostante leggi che relegano la custodia in carcere al posto di extrema ratio, gli strumenti cautelari continuano ed essere utilizzati con tale sommarietà? Ci può consolare la tardiva riparazione del torto subito? La risposta non può che essere negativa. Perché solo l’errore giudiziario che non ha radici profonde, come avviene nel nostro Paese, nel disprezzo, a volte proclamato, della presunzione di innocenza, può essere accettato. Inutile incidere su singole norme laddove manchi chi ne interpreti lo spirito. Risulta indispensabile, invece, una nuova organizzazione della giustizia che ci restituisca un giudice terzo che faccia di quel principio costituzionale un vero baluardo capace di evitare gli errori e non di porvi tardivo  e spesso inutile rimedio.  

 

Francesco Petrelli             

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