23/07/2017
“MAFIA CAPITALE” E LA “PATOGENESI DEI FINI”

L'articolo del Segretario, Francesco Petrelli, sulla vicenda "Mafia Capitale", pubblicato oggi su Il Tempo.

Caro Direttore, possiamo dire che il pool di magistrati diretto dal dott. Pignatone ha subito una sconfitta? Certamente si, se guardiamo al processo impugnando gli strumenti classici  di quella sana dialettica liberale che dovrebbe governare ogni giudizio penale, secondo la quale due tesi contrapposte si confrontano all’interno di una contesa che lo jus dicere finalmente scioglie. Ma questa analisi lascerebbe fuori dall’orizzonte troppi fenomeni connessi a quella non ordinaria vicenda giudiziaria che è stata “Mafia Capitale” e che invece val la pena di analizzare in una prospettiva differente. Se fosse solo materia di diritto e di processo, il tema “giuridico” vedrebbe certamente la clamorosa smentita della tesi dell’accusa. Ma “Mafia Capitale” è stato un fenomeno che certamente travalica i confini dell’ordinaria esperienza giudiziaria, è stato qualcosa di molto diverso da una semplice indagine il cui oggetto fosse l’individuazione di un dna mafioso all’interno del mitocondrio delle trame corruttive del sottobosco capitolino. Vista a distanza quella indagine, al di là dal suo esito tecnicamente prevedibile, si svela infatti oggettivamente come la matrice di un grande disegno destinato ad aprire lo spazio ad una riforma sistemica della macchina penale, imponendosi come formidabile trailer di nuovi bisogni politici. “Mafia capitale” è stata, a ben vedere, la grande ruspa mediatica che è servita a spazzare via ogni remora circa la necessità di introdurre nuovi ed efficaci strumenti di contrasto al crimine, dietro la quale la grande betoniera legislativa ha steso lo spesso asfalto di una emergenza inesistente. Senza quello straordinario lavoro di apertura di un inedito fronte popolar-culturale che associava mafia e corruzione in una equazione inossidabile, la Commissione Gratteri non avrebbe infatti portato a frutto il disegno orribile del “processo a distanza”, il DDL Orlando non avrebbe infarcito così agevolmente il codice penale di pene sproporzionate ed inutili e di una prescrizione visibilmente contraria alla costituzione ed al buon senso, il codice antimafia avrebbe avuto vita più difficile nell’affermazione delle sue altrettanto risibili equazioni. “Mafia Capitale”  ha contribuito in modo decisivo a far nascere un clima punitivo, a formare una collettività claustrofobica, soddisfatta solo dal vedere che i governi aumentano le pene, introducono nuovi strumenti persecutori, inventano nuove misure patrimoniali e preventive o ne incrementano ed estendono l’applicazione all’universo mondo dell’illecito. Per attuare queste politiche occorre che se ne spenga o se ne occulti la matrice illiberale ed autoritaria e che ogni privazione di libertà personale o patrimoniale, che ogni riforma assuma i caratteri di una sana, saggia e necessaria risposta al male.  Vista così, al di là dei suoi esiti giudiziari, “Mafia Capitale” ha contribuito allo sviluppo ed al consolidamento di quel pensiero unico illiberale che si è dato nuovi strumenti repressivi e che ha occupato spazi mediatici, sociali e culturali inusitati, che stentano ad arretrare anche di fronte all’insuccesso. La grande forza di “Mafia Capitale” si è sviluppata tutta, non a caso, in quella fase dell’indagine e delle cautele, dove non ha trovato ostacolo alcuno, accompagnata da una narrazione univoca e compatta, che ha costituito il mood suadente della grande riforma penale che altrove parallelamente e ottusamente si andava attuando. Che il processo riaffermi pure le ragioni del diritto. Poco importa. Non è soltanto lì che le procure antimafia vincono o perdono le loro partite.  Ma se questa è la realtà delle cose, non sarebbe necessario prendere atto di questa “patogenesi dei fini” e chiedere alla politica di rivedere norme inutili ed inique predisposte sulla base di quell’assioma corruzione-uguale-mafia che si è rivelato, all’esito del giudizio, giuridicamente e fenomenologicamente falso?   

Francesco Petrelli