05/01/2017
La rivolta degli immigrati del Centro di accoglienza di Cona (VE)

Il Governo ripropone, estendendola a tutte le Regioni, il fallimento della politica “securitaria”, con l’istituzione di nuovi Cie.

L’eco suscitato dalla rivolta degli immigrati “ristretti” nel cpa di Cona avvenuta il 2 gennaio u.s. (con la morte di una giovane ivoriana per complicazioni respiratorie sulle quali la Magistratura inquirente ha, immediatamente, aperto un fascicolo al fine della verifica delle corrette procedure d’intervento) ha, come prevedibile, sollevato immediate reazioni da parte dei partiti in cerca di facile consenso.

Non possiamo non rilevare come, ancora una volta ed a prescindere dalla specifica collocazione politica, si sia registrata una “unanimità” di pensiero, circa le possibili soluzioni al problema dell’emergenza immigrazioni, il cui unico rimedio è stato quello d’invocare “espulsioni di massa”.

Non meno scontata e, purtroppo, “sbagliata” appare a nostro parere la risposta che il Governo, attraverso il Ministro dell’Interno Marco Minniti, ha inteso approntare al fine di soddisfare la politica d’espulsione invocata: riapertura dei Cie (centri di identificazione ed espulsione) in tutte le Regioni.

Non è la “risposta giusta” all’emergenza immigrazione e ciò non solo perché, ancora una volta, il rimedio muove da spinte “di pancia” suscitate dal clamore di un evento che, ove solo si volesse andare oltre la drammaticità dei fatti, sarebbe troppo facile definire prevedibile (rectius: inevitabile) attesa la circostanza che, nel centro di Cona, gli immigrati erano cresciuti in poco più di un anno da 50 a 1.400 ospiti.

La scelta è sbagliata perché, ancora una volta il Governo dimostra di non sapere far tesoro del conclamato fallimento dell’esperienza dei Cie (ce ne sono 10 in Italia, ma solo 4 funzionanti), quale strumento necessario alla realizzazione delle espulsioni.

L’ Unione delle Camere Penali Italiane, con il proprio Osservatorio Carcere, svolgendo attività di monitoraggio e controllo, ha potuto verificare che i Cie sono costosi, inefficaci e rappresentano luoghi disumani di vera e propria reclusione per persone che non hanno commesso alcun reato.

Investire altre risorse, pertanto, nel collocare una struttura in ciascuna Regione, significa amplificare le problematiche su tutto il territorio nazionale senza ottenere alcun risultato e perseverare nella violazione dei diritti fondamentali di coloro che vi sono ristretti.

E, ancora, non possiamo non rilevare come la proposta dell’esecutivo sia in stretta (e sinistra) colleganza, tanto da poter parlare di “unico disegno”, con la circolare diramata dal Ministro dell’Interno e dal Capo della Polizia Franco Gabrielli il 30 dicembre u.s., con la quale gli stessi annunciavano una stagione di tolleranza zero sul terreno dei respingimenti dei migranti irregolari sollecitando le Prefetture, Questure, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza con il seguente invito “Appare necessario – scrive il Capo della Polizia - conferire massimo impulso all’attività di rintraccio dei cittadini dei paesi Terzi in posizione irregolare …”.

I fatti di Cona, invero, hanno finito per costituire una “inaspettata” occasione per l’Esecutivo per trasformare un mezzo (la circolare) volto al perseguimento di finalità di sicurezza, nell'impulso ad una nuova “politica” sull’immigrazione di cui, l’istituzione per ogni regione di un Cie, rappresenta il suo tragico inizio.

Certo, nel criticare la proposta del Ministro dell’Interno siamo ben consci che le 15.000 espulsioni effettuate dal 2014 ad oggi (a fronte di 500.000 ingressi) siano un numero che, agli occhi di Bruxelles, possa aprire a censure per inadempimento rispetto, peraltro, alle raccomandazioni già fatte all’Italia nell’aprile e maggio 2015.

Allo stesso tempo però, non possiamo non segnalare come il problema vada affrontato facendo tesoro degli errori passati e nel rispetto dei cittadini stranieri certi che, come sempre da noi ribadito, non possa esistere un sistema del doppio binario (uno per gli italiani ed uno per gli stranieri) in materia di rispetto dei diritti fondamentali.

L’impegno del Governo proceda, invece, in direzione opposta. Si riduca al minimo il tempo in cui si valuta la posizione dell’immigrato (oggi la permanenza nei Cie è superiore a quanto previsto dalla legge), s’investa in risorse per ampliare il sistema di controllo dell’identità e della provenienza delle persone e non per costruire nuovi centri, inutilmente costosi e indegni per un Paese civile.

S’investa anche in una corretta informazione per avvicinare l’opinione pubblica a principi elementari di civiltà, affinché gli immigrati non siano considerati scarti della società.

Non è un caso che, in questi giorni di Natale, i ristretti nel carcere di Poggioreale hanno costruito il modellino di una nave, con a bordo la sacra famiglia che naviga verso la terraferma. Gesù, la Madonna e San Giuseppe che solcano il Mediterraneo, come migranti. Nell'opera anche un fiore rosso in mare, come simbolo del ricordo di tutti coloro che perdona la vita, cercando di scappare dalle guerre e dalla fame. Ma c'è anche una bandiera italiana, con cui i detenuti hanno voluto raffigurare il nostro Paese e la sua disponibilità di accoglienza.

Il neo-ministro dell'Interno, farebbe bene a difendere questi valori, cattolici e laici, più forti di qualsiasi norma interna ed europea.

Roma, 5 gennaio  2017

L’Osservatorio Carcere UCPI