07/09/2016
Punita per aver tentato il suicidio

Il Magistrato di Sorveglianza di Firenze nega la liberazione anticipata ad una detenuta che voleva togliersi la vita.

Apprendiamo da una segnalazione dei Colleghi della locale Camera Penale che l’Ufficio del Magistrato di Sorveglianza di Firenze, in una recente ordinanza, ha negato il beneficio della liberazione anticipata ad una giovane donna reclusa presso la Casa Circondariale di Sollicciano per avere tentato (fortunatamente senza successo) di “togliersi la vita mediante impiccagione”, un gesto che, secondo il Magistrato, “è incompatibile con il presupposto della liberazione anticipata che è la partecipazione all’opera rieducativa” (con questo solo rilievo si esaurisce testualmente la motivazione del provvedimento).

La signora, trentacinquenne tossicodipendente, alla sua prima esperienza carceraria, è detenuta da circa un anno per una pena di poco superiore ai tre anni di reclusione per concorso in rapina e detenzione di sostanze stupefacenti ed aveva così reagito, in un momento di profondo sconforto, alla notizia che anche il suo ex marito era finito in carcere e che i suoi due figli minori erano rimasti soli.

La relazione del gruppo di osservazione e trattamento, pur menzionando l’episodio (peraltro risalente ad un semestre di detenzione antecedente a quello in valutazione, per il quale le era già stato riconosciuto il beneficio della liberazione anticipata), dava atto che ella, oltre a non incorrere in alcun rilievo disciplinare, aveva prestato attività lavorativa all’interno della cucina del suo reparto detentivo ed aveva partecipato ad attività sportive organizzate all’interno dell’Istituto, circostanze che, di norma, sono considerate largamente sufficienti per giustificare un valutazione positiva della condotta detentiva, tanto più in un Istituto, come quello fiorentino, in cui notoriamente si opera in condizioni difficili e l’offerta trattamentale non è particolarmente estesa. É di pochi giorni fa la notizia che, proprio nel reparto femminile, a seguito di una recrudescenza del fenomeno del sovraffollamento, in alcune celle è ricomparso il terzo letto.

Qualche anno fa, con la campagna “Fate presto”, l’Unione delle Camere Penali aveva tappezzato i palazzi di Giustizia di tutta Italia con striscioni che riportavano la tragica conta dei decessi per suicidio in carcere, un’emergenza mai risolta nonostante si vada entusiasticamente proclamando di avere risolto le criticità per le quali la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ci aveva condannato per la violazione del divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti.

Quando un essere umano recluso si toglie la vita, o tenta di farlo, è anzitutto il Sistema che ha fallito, che non ha saputo offrirgli quel minimo di speranza e quel “senso di umanità” che sempre deve accompagnare, secondo l’art. 27 della Costituzione, la pur doverosa sanzione per i suoi errori.

E proprio l’umanità ci sembra tragicamente far difetto nella decisione del Magistrato di Sorveglianza di Firenze, che avrebbe il compito istituzionale di garantirla, vigilando sull’operato dell’Amministrazione Penitenziaria, in attuazione dell’art. 69 dell’Ordinamento Penitenziario. Un provvedimento che ignora la partecipazione della detenuta ad attività trattamentali ed evidenzia, in sole due righe , esclusivamente il gesto disperato, trascurando la partecipazione all’opera di rieducazione e punendo la debolezza di un momento di tragica follia.

Evidenziamo, ancora una volta, come nei confronti della detenzione occorra un approccio culturale diverso, già indicato, almeno in parte, dai lavori degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale.

Roma, 7 settembre 2016

L'Osservatorio Carcere 

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