12/07/2021
Overturning in appello: la Corte europea dei diritti dell'uomo condanna l'Italia per mancata rinnovazione del dibattimento

La Corte europea dei diritti dell’uomo condanna l’Italia per violazione dell’art. 6 par. 1 per mancata rinnovazione del dibattimento in caso di overturning, a causa del mancato esame degli imputati in grado di appello, pur regolarmente citati e non presenti all’udienza.   Si ringrazia per la stesura del documento con le considerazioni a prima lettura l’Avv. Marina Silvia Mori dell’Osservatorio Europa UCPI

La vicenda oggetto della sentenza della Corte europea Maestri e altri c. Italia (20903/15, 20973/15, 20980/15, 24505/15, 8 luglio 2021, Prima sezione) può essere così brevemente riassunta. I sette ricorrenti erano stati sottoposti a giudizio per i delitti di truffa aggravata e associazione a delinquere in relazione alla nota vicenda delle “Quote latte” introdotte dal Regolamento CE 856/84, in quanto, secondo l’accusa, avevano costituito plurime società e le avevano gestite fraudolentemente, allo scopo di superare le quote latte imposte dal Regolamento senza versare i relativi contributi.

All’esito del giudizio di primo grado, dopo l’audizione di diversi testimoni, il Tribunale di Saluzzo assolveva la Maestri da entrambi i capi di imputazione e condannava gli altri sei ricorrenti unicamente per il delitto di truffa aggravata, escludendo la sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo dell’associazione a delinquere.

La sentenza era impugnata sia dai sei ricorrenti condannati che dalla Procura. La Corte d’Appello di Torino accoglieva l’appello del Pubblico Ministero, sostenendo che la motivazione della sentenza di primo grado fosse sommaria e superficiale e non avesse considerato che la costituzione delle società avrebbe consentito la commissione di una serie infinita di truffe da parte degli imputati. All’esito del processo di appello, i sette imputati erano quindi riconosciuti responsabili sia di truffa aggravata, sia di associazione a delinquere.

Nel ricorso in Cassazione i ricorrenti lamentavano sia l’omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, sia di non essere stati sentiti personalmente nel grado di appello. La Cassazione rigettava i ricorsi, precisando che l’obbligo di rinnovazione è imposto solo in caso di diversa interpretazione delle dichiarazioni dei testimoni, mentre nel caso concreto i fatti erano incontestati, e che comunque la possibilità di rendere dichiarazioni spontanee e di prendere la parola al termine della discussione garantirebbero sufficientemente i diritti degli imputati.

Nella propria sentenza la Corte europea, in termini generali, ribadisce la necessità di valutare le caratteristiche specifiche del grado di appello e la possibilità che un ricorrente possa in modo inequivoco rinunciare al proprio diritto di presenziare al giudizio di appello. Inoltre, la Corte ricorda di avere ritenuto insussistente la violazione dell’art. 6 quando la condanna in grado di appello senza rinnovazione sia intervenuta esclusivamente sulla base di una diversa interpretazione di una questione giuridica, in assenza di una nuova valutazione di fatti già stabiliti.

Tuttavia, ricorda la Corte, il giudice di secondo grado che esamina una fattispecie concreta sia in fatto che in diritto, pronunciandosi sull’innocenza o sulla colpevolezza di un imputato, non potrà decidere senza valutare direttamente gli elementi di prova presentati personalmente dall’imputato che sostiene di non essere responsabile del fatto contestato; la Corte d’appello, inoltre, avrà l’obbligo di assumere misure positive in questo senso, anche ove il ricorrente non sia comparso all’udienza, non abbia chiesto di prendere la parola e non si sia opposto – attraverso il proprio difensore – a che la Corte statuisse comunque sul merito della questione.

Applicando i predetti principi al caso dei sette ricorrenti, il ragionamento della Corte si estrinseca nei seguenti termini.

Quanto alla condanna intervenuta anche per l’associazione a delinquere, la Corte europea per sei dei sette ricorrenti ritiene che la giurisdizione di secondo grado si sia basata su fatti incontestati dalle parti e che sia pervenuta a una diversa conclusione giuridica rispetto agli elementi costitutivi del delitto di associazione a delinquere, escludendo quindi la sussistenza della violazione per la mancata rinnovazione del dibattimento finalizzato alla nuova audizione dei testimoni (fa eccezione il ricorso Maestri).

Diversa la conclusione in relazione all’audizione dei ricorrenti.

La Corte europea rileva che la Corte di appello ha valutato le “intenzioni” dei ricorrenti e si è pronunciata per la prima volta su circostanze soggettive riferite ai medesimi, affermando che “non potessero non ignorare” che l’attività delle società fosse illegale. Questo, però, essendo un elemento chiave per stabilire la colpevolezza degli imputati, secondo la giurisprudenza della Corte impone la verifica delle intenzioni dell’imputato rispetto ai fatti che gli sono contestati, con la conseguente necessità, nel caso concreto, di ascoltare direttamente i ricorrenti.

È pacifico che i ricorrenti, che avevano nominato propri difensori di fiducia, non avessero preso parte al giudizio di appello (ad eccezione della Maestri) sebbene regolarmente citati, per cui era desumibile la loro rinuncia inequivoca a partecipare al giudizio. Tuttavia, la rinuncia a comparire, secondo la Corte, non è sovrapponibile alla rinuncia ad essere sentiti dalla giurisdizione di appello, che deve essere, parimenti, esplicita. Anche secondo il diritto interno, detta rinuncia sarebbe stata esplicita solo se ci fosse stata una specifica citazione finalizzata all’audizione dei ricorrenti, alla quale i medesimi non avessero dato seguito. Si tratta della prima applicazione nei confronti dell’Italia della giurisprudenza Júlíus Þór Sigurþórsson c. Islanda (n. 38797/17, 16 luglio 2019), nella quale la Corte aveva così statuito: il fatto che un imputato abbia rinunciato al proprio diritto di partecipare all'udienza non solleva di per sé il giudice d'appello, nel fare una valutazione globale di colpevolezza o innocenza, dall’obbligo di valutare direttamente le prove presentate personalmente dall'imputato che proclama la sua innocenza e che non ha esplicitamente rinunciato al diritto di parola.

Spetta alle Corti interne adottare tutte le misure positive volte a garantire l’audizione dell’interessato e, secondo la Corte, la possibilità di rendere dichiarazioni spontanee o di prendere la parola al termine della discussione non soddisfa i requisiti convenzionali per evitare la violazione dell’art. 6 par. 1, non essendo uno strumento paragonabile all’esame da parte del tribunale.

La Corte europea concludeva quindi per tutti i ricorrenti per la violazione dell’art. 6 par. 1 in relazione alla condanna per associazione a delinquere intervenuta senza disporre l’esame degli imputati e, nel caso della Maestri, anche per la mancata audizione dei testimoni nel giudizio di appello, indicando la celebrazione di un nuovo giudizio come il rimedio più appropriato per sanare la violazione, pur nel margine di apprezzamento lasciato allo Stato.

La sentenza Maestri si pone nel solco della giurisprudenza Dan c. Moldavia e successive, e amplia ulteriormente gli oneri della giurisdizione di secondo grado chiamata a pronunciarsi su sollecitazione della Procura. Oltre ad evidenziare una problematica generale (la citazione per il grado di appello, a questo punto, non può fare le veci di una citazione per rendere l’esame) e l’inadeguatezza degli strumenti codicistici previsti (dichiarazioni spontanee), solleciterà nuovamente un ulteriore intervento correttivo e chiarificatore per rendere il giudizio di secondo grado conforme ai parametri convenzionali. Questo è tanto più inevitabile quando il giudice di appello motivi il proprio convincimento sulla base di considerazioni soggettive su un imputato che non ha direttamente esaminato.

Roma, 12 luglio 2021

L’Osservatorio Europa