30/04/2020
La fase due del processo mediatico

Pubblichiamo un documento dell'Osservatorio sull'informazione giudiziaria su un caso trattato nel corso della trasmissione "Non è l'Arena".

Aca Toro!

Lo immaginavamo.

Era questione di pochi di questi terribili giorni che stiamo vivendo a causa della pandemia che, come noto, sono nate indagini a carico di direttori sanitari e responsabili di RSA.

Trattando uno di questi “case” giudiziari sin dai suoi albori, “Non è l’Arena” ha iniziato a dettare un nuovo passo nell’agenda del processo mediatico: ci riferiamo all’indagine in corso presso la Procura della Repubblica di Siracusa sulla morte del povero Dott. Rizzuto, un medico in servizio presso le strutture sanitarie locali, che purtroppo non è riuscito a vincere l’infezione da covid 19 contratta sul lavoro. Le accuse, rivolte anche contro l’attuale direttore dell’ASP di Siracusa,  riguardano gravi omissioni consistite nel mancato tempestivo ricovero del professionista da parte delle strutture sanitarie e di un ritardo nelle cure che ne avrebbe cagionato aggravamento delle condizioni generali, quindi la morte.

Lo staff del programma ha svolto autonomi accertamenti giudiziali per poter confezionare il proprio scoop, intervistando persona offesa e testimoni e acquisendo, pare, documenti inediti agli inquirenti.

Infine Giletti ha trasmesso il tentativo posto in essere da parte di un’altra testata televisiva di intervistare l’indagato principale, il Dott. Salvatore Ficarra, attuale direttore dell’ASP di Siracusa. In quello spezzone, il Dott. Ficarra aveva risposto alle domande incalzanti del reporter della Rai, proprio in questo modo: “Non intendo dirvi nulla, è inutile che insista, non mi porterà in nessun modo ad instaurare con voi un contraddittorio su questioni che riguardano un procedimento penale, vi posso solo dire che le vostre informazioni sono sbagliate e che mi rapporterò solamente con gli inquirenti per rispetto loro, della giustizia e anche della famiglia del defunto”

Insomma, l’atteggiamento di un cittadino che non ha nessuna intenzione di difendersi fuori dall’aula di un Tribunale, consapevole del proprio status, rispettoso degli inquirenti, della giustizia e degli interessi delle parti.

Al Toreador quella risposta non basta in quanto non è riuscito a trascinare il toro nella sua Arena tanto che ha iniziato a sventolargli il drappo rosso in faccia sfidandolo anche fuori dal recinto: “Siracusa è una città importante e la sua gente merita rispetto!” “Ficarra deve rispondere di quello che è successo in quell’ospedale. Io non mi fermerò perché la verità e la giustizia sono fondamentali!”. “Noi abbiamo raccolto molti documenti! Battistelli ha ascoltato parecchie persone e non mi va di dirvi tutto in questa puntata”.

Chiaro il messaggio inviato al Dott. Ficarra: Ti conviene parlare con noi, altrimenti Te la cantiamo e suoniamo con tutti i nostri strumenti.

Ebbene, nella puntata di domenica 26 aprile, abbiamo appreso che l’inviato Battistelli ha fatto la posta al direttore sanitario, il quale ha ribadito il suo pensiero, ovverosia di non volersi sottoporre ad alcun processo mediatico, come è suo sacrosanto diritto. La conclusione tratta dal conduttore è stata che evidentemente costui aveva qualcosa da nascondere ed ha pertanto scelto la fuga. Il toro è stato trafitto.

Quel che più impressiona ed allarma di questo ultimo e pesante commento non è tanto il contenuto e l’enfasi delle frasi spese da Giletti, quanto l’idea che traspare dai suoi messaggi, quasi di supremazia del quarto potere sul potere giudiziario

Siamo andati oltre confine.

La necessità che la collettività possa avere conoscenza del modo con cui viene resa giustizia, ed il ruolo costituzionale dei media nel consentire un controllo democratico del metodo seguito dallo stato per fare giustizia, non possono legittimare questo modo di fare.

Se si arriva al punto di pretendere che un soggetto indagato parli con la stampa prima che con la magistratura, non si riconosce più nessun limite alla libertà di informazione.

L’accertamento definitivo della colpevolezza dell’indagato o dell’imputato in sede giudiziaria richiede anni e ciò alimenta la necessità di informare l’opinione pubblica che è pendente un accertamento processuale dei fatti e dei soggetti a cui addebitare l’illecito.

Il diritto di cronaca permette di fornire una conoscenza parziale, ancorché attraverso un serio vaglio della veridicità di quanto viene diffuso, e possibilmente senza digressioni specialistiche come siamo purtroppo soliti assistere, fino a quando non siano stati approfonditi giudizialmente tutti gli elementi della vicenda trattata.

Ecco perché l’esistenza di indagini a carico di taluno non deve autorizzare ricostruzioni o ipotesi giornalistiche tendenti ad affiancare, se non addirittura a sostituirsi agli organi investigativi nell’anticipazione del riconoscimento della responsabilità attraverso anticipati giudizi autonomi da quello istituzionale.

Ed allora la presunzione di conoscenza parziale dei fatti andrebbe considerata una regola generale da applicare a qualunque attività valutativa, e nel caso dei mezzi di comunicazione di massa, proprio per l’effetto diffusivo delle notizie, la suddetta regola dovrebbe essere un principio irrinunciabile.

Se non si osservano e rispettano questi elementari principi cui deve attenersi e parametrarsi la libertà di stampa si rischia di perdere la bussola con le coordinate della democrazia e delle regole di uno stato liberale, in quanto una corretta informazione non si costruisce certamente facendo le veci di un pubblico ministero travestito da torero.

Roma, 30 aprile 2020

L’Osservatorio Informazione Giudiziaria

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