17/10/2019
Sconcerto e preoccupazione per l'ennesima lesione delle garanzie difensive
Preso atto delle motivazioni della sentenza delle Sezioni Unite in materia di rinnovazione delle prove dichiarative in conseguenza del mutamento del Giudice, la Giunta esprime sconcerto e preoccupazione per l’ennesima lesione delle garanzie difensive e riservata ogni ulteriore iniziativa, chiede che il Governo e il Parlamento intervengano immediatamente ripristinando la corretta applicazione dei richiamati principi, in conformità con le regole costituzionali del giusto processo. 
Il documento integrale
La GIUNTA
preso atto delle motivazioni della sentenza n. 41736 del 30.05.2019 in materia di rinnovazione delle prove dichiarative in conseguenza del mutamento del Giudice 
OSSERVA
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno provveduto a richiamare immediatamente alla dura realtà quotidiana l’Avvocatura Penalistica proprio mentre era intenta a commentare con soddisfazione la recentissima sentenza della Corte Europea in materia di ergastolo ostativo. Sono state, infatti, pubblicate le motivazioni della sentenza n. 41736, emessa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione il 30 maggio 2019. Il messaggio del giudice di legittimità è sorprendente: il principio di immediatezza della decisione e quello ad esso funzionale di immutabilità del Giudice vengono liquidati, senza tentennamento alcuno, attraverso un’interpretazione che di fatto abroga il primo cpv. dell’art. 525 c.p.p.
Il principio di diritto enunciato nella sentenza esplicita, senza molti dubbi, l’intento soppressivo: la Corte afferma, infatti, che in presenza del mutamento del giudice le parti possono chiedere sia nuove prove che la rinnovazione delle prove dichiarative in precedenza assunte ma, in tale ultima ipotesi, sono gravate dall’obbligo di indicare le “circostanze decisive” che impongano la rinnovazione.  Il Giudice, a sua volta, può non ammettere la rinnovazione della prova in ragione dei parametri valutativi desumibili dall’art. 190 c.p.p., ossia quando la stessa appare superflua o irrilevante.  In definitiva e fuori di metafora: le parti non potranno chiedere la rinnovazione delle prove dichiarative già assunte, solo ed esclusivamente perché è mutato il Giudice, con la inevitabile conseguenza che l’istanza, se così formulata, sarà respinta perché superflua ex art. 190 c.p.p. atteso che le dichiarazioni sono già in atti; con buona pace del legislatore che ha previsto per la violazione del principio di immediatezza la nullità insanabile della sentenza. Il secondo comma dell’art. 525 c.p. è quindi, a tutta evidenza, di fatto abrogato, potendo spiegare effetti solo in rare e residuali ipotesi. Infatti, la facoltà delle parti di richiedere di sentire nuovamente il teste, quando scaturisca dalle evenienze dell’attività dibattimentale, esiste già nel nostro ordinamento e a prescindere dal mutamento del giudice.  In tal senso depongono infatti, sia la pacifica interpretazione dell’art. 507 c.p.p. che quanto desumibile dal disposto dell’art. 506 c.p.p. ed anche dallo stesso art.  211 c.p.p. che disciplina il confronto tra testimoni già sentiti. 
A tale interpretazione non costituisce certo ostacolo, secondo il giudice di legittimità, neppure l’inequivocabile disposto del primo cpv. dell’art. 511 c.p.p. il quale afferma, a chiare lettere, che <>.
 Il grimaldello interpretativo utilizzato dalla Corte è rappresentato dall’inciso “a meno che l’esame non abbia luogo”. Per le Sezioni Unite tale locuzione ricomprende non solo il mancato svolgimento dell’esame per scelta delle parti o per impossibilità di effettuarlo, ma anche in conseguenza del rigetto delle istanze di rinnovazione da parte del Giudice sopravvenuto, in esercizio dei poteri valutativi previsti dall’art. 190 e quindi per superfluità dell’incombente richiesto. Le Sezioni Unite coniano, così, un singolare criterio circolare: il giudice per poter utilizzare le precedenti dichiarazioni è obbligato a sentire il dichiarante, ma se ne sottrae affermando che è superfluo visto che le dichiarazioni sono già presenti nel fascicolo del dibattimento; ponendo così in essere proprio la condotta vietata dal legislatore: acquisire le dichiarazioni precedentemente rese e contenute nel fascicolo senza risentire il dichiarante. Si tratta di un vero e proprio cortocircuito interpretativo: ad omettere volontariamente l’esame, determinando la lettura delle precedenti dichiarazioni, è proprio il Giudice obbligato dal legislatore a provvedervi. Il Giudice, così interpretando, finisce con il dichiarare superflua non la ripetizione della prova ma la stessa norma che gliela impone.
Peraltro, si tratta di una interpretazione del combinato disposto degli artt. 525, 526 e 511 c.p.p.  in palese contrasto non solo con la lettera della norma ma anche con  l’esegesi  fattane sia dalla Corte Costituzionale con le ordinanze 399 del 2001, 205 del 2010 che dalla stessa Cassazione - a partire dalla sentenza  n. 2 del 15.02.1999 delle Sezioni Unite -  le quali  hanno ripetutamente affermato che l’utilizzo  delle precedenti dichiarazioni, rese dinanzi ad un Giudice diverso, possa avvenire, in assenza del consenso delle parti solo ed esclusivamente dopo l’esame della parte che le ha rese. Ribadendo che nel caso di rinnovazione del dibattimento a causa del mutamento della persona del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale, la testimonianza raccolta dal primo giudice non è utilizzabile per la decisione mediante semplice lettura, senza ripetere l'esame del dichiarante <>.
Non si può, quindi, non manifestare dissenso dalla decisione in commento, fondata su argomenti tesi a stravolgere un dato normativo viceversa   chiarissimo come pochi altri: Il Giudice che decide deve essere lo stesso che ha assunto le prove, a pena di nullità assoluta.  Si tratta di un principio che non può lasciare spazio ad equilibrismi dialettici anche se provenienti da fonti di grande autorevolezza.
Parimenti, non può essere condivisa la ragione che legittimerebbe il ricorso a tale interpretazione del quadro normativo. Afferma, infatti, la Corte di Cassazione che essendo pacifico <<…che le parti possono ritenere superflua la ripetizione dell’esame e non farne, quindi, richiesta, non si vede per quale motivo negare la possibilità di operare analoga valutazione al giudice…>>. La domanda che le Sezioni Unite si pongono trova risposta proprio nella scelta del rito accusatorio fatta dal legislatore del 1988 ed è consacrata nell’art 190 del codice di rito che al primo comma afferma <>. Si tratta di un principio che ha trovato copertura costituzionale nello “statuto” del giusto processo contenuto nell’art. 111 della Costituzione. Il potere di ammissione delle prove da parte del giudice, in assenza di richiesta di parte, è residuale e limitato ai soli casi espressamente previsti dalla legge. Parificare il giudice alle parti significa mandare indietro di oltre trent’anni il processo penale.
Né tampoco il vulnus ai richiamati principi può essere giustificato con l’esigenza di evitarne un utilizzo distorto e a meri fini dilatori da parte dei difensori. Dalle rilevazioni effettuate dall’Eurispes sia nel 2008 che nel corrente anno emerge che i processi nel quale si pone il problema della rinnovazione delle prove orali per mutamento del giudice costituiscono una percentuale statisticamente irrilevante.
Non è superfluo, inoltre,  rammentare che proprio pochi mesi fa la Corte Europea con la sentenza del 29 luglio 2019 ha riaffermato che il diritto del cittadino di essere giudicato dal giudice che ha assunto le prove come risultante dagli artt. 511 primo e 525 primo cpv c.p.p. pur potendo, in casi particolari, sopportare eccezioni, è regola generale in quanto << uno degli elementi rilevanti di un processo penale equo è la possibilità per l’accusato di essere messo a confronto con i testimoni in presenza del giudice che da ultimo decide. Tale principio di immediatezza è un’importante garanzia del processo penale, in quanto le osservazioni fatte dal giudice quanto al comportamento e all’attendibilità di un testimone possono produrre gravi conseguenze per l’imputato>>. Sul punto, peraltro, la Corte Costituzionale aveva chiarito proprio nell’ordinanza n. 399 del 2001  che il principio dell’immediatezza del quale la regola dell’immutabilità  è preposta all’attuazione è  principio ispiratore del codice di rito  in quanto << tutela la diretta percezione da parte del giudice deliberante della prova stessa nel momento della sua formazione, cosi da poterne cogliere tutti i connotati espressivi anche quelli non verbali particolarmente accentuati dal metodo dialettico dell’esame e del controesame>>.
Tali autorevoli e chiarissime interpretazioni consentono di escludere che tali principi possono essere soddisfatti con la lettura di un atto confezionato da soggetti diversi ed al quale colui che deve decidere non ha apportato alcun contributo. 
Sembra davvero che la percezione di tali limpidissimi principi posti, non solo a tutela dell’imputato ma, anche e prima ancora, a garanzia della correttezza della decisione e quindi del giudice stesso, venga, nelle nostre aule di giustizia interdetta da arcane interferenze alle quali, invece, il giudice non dovrebbe essere permeabile. 
Da ultimo si deve rimarcare che la Corte Costituzionale nella sentenza n. 132 del 29.05.2019, n. 132, abbondantemente richiamata dalle Sezioni Unite Penali, aveva sollecitato il legislatore ad adottare i rimedi strutturali necessari per meglio armonizzare tale principio con le ragioni di speditezza del dibattimento, ma la Corte di Cassazione non ha resistito e, come sovente si è verificato nella storia giudiziaria italiana, ha preferito sostituirsi al potere legislativo.
L’U.C.P.I. e la propria Giunta debbono con rammarico rilevare che, mentre si riscontra un positivo rafforzamento delle garanzie dell’imputato e del condannato da parte della Corte Europea, nel nostro Paese si assiste ad un preoccupante arretramento delle stesse, attraverso una confusa ed irrazionale   produzione normativa improntata esclusivamente alla ricerca del consenso e mediante interpretazioni giurisprudenziali totalmente divergenti dalle regole del giusto processo.
Per tali ragioni 
LA GIUNTA
 
esprime sconcerto e preoccupazione per l’ennesima lesione delle garanzie difensive e riservata ogni ulteriore iniziativa, chiede che il Governo e il Parlamento intervengano immediatamente ripristinando la corretta applicazione dei richiamati principi, in conformità con le regole costituzionali del giusto processo.
 
Roma, 17 ottobre 2019
 
La Giunta

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